venerdì 19 giugno 2020

Sciascia, Bufalino e la Sicilia babba


In Il giorno della civetta, parlando del bigliettaio che, trovandosi di fronte a un omicidio, continua a bestemmiare, così scrive Sciascia: “Era della provincia di Siracusa, in fatto di morti ammazzati aveva poca pratica: una stupida provincia, quella di Siracusa; perciò con più furore del solito bestemmiava”. La proposizione parrebbe da costruire nel senso che il bigliettaio bestemmia perché è di una provincia che è stupida dal momento che non conosce la mafia. Ciò porterebbe a supporre che tutti i siracusani siano dei bestemmiatori oltre che degli stupidi, sempreché sia fondato il postulato che si tratti di una provincia immune alla mafia. Ma Sciascia non è questo che intende. In verità il bigliettaio bestemmia non perché alfine la mafia la vede nel passeggero ammazzato con una fucilata, ma perché il delitto ritarda la partenza dell’autobus: sicché è stupido perché non capisce che la partenza è un problema di gran lunga minore rispetto al delitto e alla sua matrice. E bestemmia “con più furore del solito”, scrive Sciascia, perché è avvezzo alla blasfemia tanto da avere rischiato il licenziamento. 
Sennonché c’è quella congiunzione, perciò, che letteralmente lega le bestemmie più furiose “del solito” alla stupidità della provincia di Siracusa come a dare ad esse una causa. E la provincia di Siracusa è definita stupida da Sciascia senza che però si capisca perché sia tale, giacché ad avere poca pratica in fatto di morti ammazzati è il bigliettaio, che però bestemmia perché è di una provincia stupida, lasciando in qualche modo ipotizzare anche che sia empia. Questo virtuosismo giocato sulla punteggiatura e sulla moltiplicazione dei soggetti induce commistione e consente a Sciascia di non dichiarare apertamente la provincia di Siracusa mafiosa ma solo stupida. 
L’aggettivo è sinonimo di “babba”, termine con il quale negli anni del Giorno della civetta venivano indicate prevalentemente le province di Siracusa e Ragusa, viste come babbe perché la mafia era ritenuta ad esse estranea. Entrare da Vittoria in entrambe equivaleva per Sciascia a “valicare un confine”. Confine che sarebbe rimasto per molti anni attivo se Bufalino, ricordandosi certamente del capolavoro di Sciascia, scriverà di quella iblea, la sua: “Una provincia che gli altri siciliani chiamano babba con un sorriso. Babba vuol dire bonaria, innocente, ed è epiteto meritato se è vero che qui negli ultimi dieci anni il numero dei morti ammazzati è vergognosamente basso rispetto a qualunque altro sito dell’isola”. Babba per Bufalino vuol dire anche “mite, fino a sembrare stupida, cioè tonta, come per dileggio ci chiamano gli spavaldi e i facinorosi”. 
Sciascia, che ha parlato proprio di morti ammazzati e di stupidità, sarebbe stato visto da Bufalino in taccia di spavaldo e facinoroso? Bufalino pensò a lui, lo scrittore della “Sicilia sperta”? Spavaldi e facinorosi sono senz’altro i mafiosi, per modo che si può stabilire che, così come Sciascia trovava stupidi quanti fossero della provincia di Siracusa, Bufalino riconosceva mafiosi gli “altri siciliani”. Ambiguo Sciascia, tranchant Bufalino: si scambiarono probabilmente le vesti, ma sicuramente si mantennero provvisti dei migliori pregiudizi dell’una e dell’altra Sicilia.