Il 31 gennaio 2009 sul Corriere della Sera Alberto Bevilacqua imputava alla censura del tempo se nel 1955 era stata bloccata la sua prima prova narrativa, La polvere sull’erba, romanzo poi apparso da Einaudi prima nel 2000 e ancora nel 2008, ma con una indicazione leggermente diversa.
Nel 2000 il risvolto di copertina scrive che Sciascia «legge il dattiloscritto, vorrebbe pubblicarlo, ma ritiene che possa provocare uno scandalo», riguardando le torbide vicende del “Triangolo rosso” emiliano al tempo della guerra partigiana, sicché lo accantona; nel 2008 si legge che Sciascia «vorrebbe pubblicarlo ma il clima censorio glielo impedisce». In entrambi i casi sembrerebbe che sia Sciascia – autore nel ‘55 del diario-denuncia Le parrocchie di Regalpetra e prossimo a pubblicare racconti di tenace concetto come "L’antimonio" e "Il Quarantotto" – a lasciarsi intimidire dalla censura democristiana e non che sia la censura a bloccarne la pubblicazione come parrebbe invece adombrare l’articolo del Corriere.
Uno Sciascia di tanta prudenza è davvero inimmaginabile se si pensa che proprio nel ‘55, nella veste di curatore della collana “I Quaderni di Galleria” dell’editore omonimo Sciascia di Caltanissetta, pubblica un libro di Bevilacqua intitolato giustappunto La polvere sull’erba. Nella sua nota alle due edizioni del 2000 e del 2008 Bevilacqua precisa che quel libro era costituito da mere “prove d’autore”, le sole che Sciascia (pur avendo avuto consegnate, oltre alle prove d’autore, scritte ovviamente in preparazione del romanzo, addirittura il romanzo stesso) avrebbe avuto animo di pubblicare. Sennonché più che cartoni preparatori, che come tali appare davvero singolare che Sciascia accetti comunque di pubblicare, i quattro capitoli intesi come “prove d’autore” integrano invece altrettanti racconti autonomi ambientati nell’Emilia del Dopoguerra dove non c’è alcun riferimento alle «vendette incrociate tra ex repubblichini ed ex partigiani».
Nel romanzo del 2000, quello che Sciascia avrebbe letto nel 1955 in una stesura che Bevilacqua dirà di avere nel 1997 «ribattuto a macchina senza apportare rimaneggiamento di alcun tipo», ritroviamo proprio i titoli dei quattro racconti nonché alcuni personaggi quali Giorgio, Bianca, Luca e Carlina, che però risultano del tutto trasfigurati per via di commistioni di scene e trasposizioni di atmosfere che ne fanno un altro libro, sia pure con lo stesso titolo: un libro che non può essere stato scritto a metà degli anni Cinquanta e che non può essere rimasto in un cassetto per 35 anni. Alcuni elementi sono infatti decisivi.
Se è scritto negli anni precedenti al ‘55, quando cioè Sciascia lo legge, come è possibile che Bevilacqua si imbatta «anni dopo» in certe cronache dei banchetti seicenteschi del Farnese? O scriva che gli Strioni «sarebbero scomparsi alla fine degli anni Cinquanta»? O aggiunga una nota a piè pagina rivelando che quando Garcia Marquez soggiornò a Roma lo portò a vedere il carnevale degli Strioni dal quale avrebbe tratto spunto per il suo Cent’anni di solitudine, dal momento che l’autore colombiano visse a Roma solo alcuni mesi del ‘55 e il suo capolavoro sarebbe uscito solo nel ‘67? Ma soprattutto: come può nella prima metà degli anni Cinquanta Bevilacqua scrivere circa gli oscuri fatti del “Triangolo della morte” rivelandone peraltro una precisa conoscenza se lo “scandalo” esplode solo nel 1990, dopo l’articolo di Otello Montanari, il noto “Cincino” comunista ripudiato poi dal Pci? E’ questa una circostanza richiamata per giunta dallo stesso Bevilacqua, che (probabilmente sull’onda del processo di revisionismo storico avviato proprio a seguito delle numerose rivelazioni giornalistiche) riprende in mano. ma in anni ben più recenti, il vecchio libro di racconti che era piaciuto a Sciascia e ne fa un romanzo. Che però romanzo in realtà non è, perché si tratta di una rivisitazione di quel biennio esperita alla luce di ricordi autobiografici e mercé il recupero di vicende realmente accadute nella zona della sua Parma: operazione nel cui merito l’invenzione letteraria agisce solo sui secondi piani, raccordando personaggi funzionali utili a tenere unite le diverse esperienze.
C’è qualcosa di più. Nella nota all’edizione del 2000 Bevilacqua spiega in un passaggio, che manca in quella di otto anni dopo, che il romanzo non poteva uscire anche perché «“I Quaderni” non potevano ospitare che testi brevi». In realtà La polvere sull’erba del ‘55 conta 142 pagine, ovvero solo una ventina in meno della prima edizione del 2000. Una seconda ragione della mancata uscita sarebbe stata rappresentata, secondo Bevilacqua, dal timore di reazioni «in un’Italia tutt’altro che pronta a ripensare sé stessa». Si può piuttosto supporre che Sciascia avrebbe pubblicato il libro anche soltanto per questo. In effetti lo pubblicò, ma Bevilacqua ha ignorato che ciò fosse avvenuto nel tentativo di montare, nel 2000, il caso di un libro che finalmente vedesse la luce e che avesse avuto il protettivo e prudente rifiuto di Sciascia. Lo scrittore parmense lo ha proposto intrecciandolo a un clima di intimidazione ed epurazioni che lui e la sua famiglia avrebbero in realtà subito alla notizia che sarebbe uscito un suo libro sul “Triangolo rosso”. Non si trattava di una “notizia”, ma del libro in sé, sebbene uscito da un editore minore.