Articolo uscito il 17 giugno 2022 su Libero
Benché non più come fino a tre anni fa, quando conquistava subito la vetta delle classifiche, ancora oggi Camilleri è nondimeno un autore amato e letto. Anzi riletto, dal momento che il suo “ultimo” libro, La coscienza di Montalbano (Sellerio, pp. 255, euro 14), non è che un ripescaggio di racconti usciti anche più di una volta. L’editore palermitano ha addirittura espunto quattro dei sei racconti da altrettante antologie pubblicate nel tempo con il marchio Sellerio: non provvedendo peraltro a correggere un errore di quelli in cui Camilleri cadeva fin troppo spesso per la fretta di consegnare i suoi testi tanto redditizi e non rivisti da nessuno, questa volta proclamando in “Notte di Ferragosto” vincitore di Sanremo 1982 la canzone “Felicità” di Al Bano e Romina Power. Storico rimane tuttavia l’errore commesso in “Lo stivale di Garibaldi”, racconto incluso in La cappella di famiglia nel 2016 (anch’esso Sellerio) dove il prefetto Falconcini viaggia in treno quando ancora in Sicilia le Ferrovie devono arrivare.
E proprio come in La cappella di famiglia, anche i racconti qui assemblati non hanno nulla di omogeneo, tradendo così un principio di uniformità inderogabile per lo stesso Camilleri che alla Mondadori consegnava i racconti editi e inediti scelti per le diverse raccolte milanesi attenendosi sempre a quelle che chiamava “linee-guida”. Il patchwork che ne è adesso venuto fuori affastella racconti non solo scritti in tempi anche molto distanti ma propri di un commissario irriconoscibile: ora trentenne nel primo, ora quarantenne nel secondo e poi quasi sessantenne negli altri, pavesando scenari che cambiano del tutto e confondono il lettore non informato delle vicende di Montalbano e dei relativi contesti. Se per esempio nel racconto “Una cena speciale” il questore è amabilissimo con Montalbano, non si comprende poi perché si mostri un suo aguzzino in “Il figlio del sindaco”, né si capisce perché il ristoratore d’elezione si chiami prima Calogero e poi Enzo o perché l’ispettore Fazio abbia un padre che per trent’anni ha lavorato in polizia.
Un tale modo di riproporre al pubblico Camilleri ottiene lo scopo non di definirne una precisa natura letteraria ma di svilirlo, ancor più se viene dato a una simile raccolta un titolo del tutto distorsivo come “La coscienza di Montalbano”, giacché il commissario si distingue massimamente, per volontà di Camilleri e a differenza della figura trasposta nella serie televisiva, in base all’età e al progressivo acuirsi di una sindrome depressiva che nasce con La gita a Tindari (la prima volta che va da un medico) ed evolve fino agli effetti surreali dello sdoppiamento di personalità, del materializzarsi con Le ali della sfinge di “Montalbano Secondo” e dei conflitti psicomachici tra personaggio e autore che avranno un diapason e un compimento in Riccardino, la sua ultima opera.
Ma già l’anno scorso, ripubblicando La prima indagine di Montalbano (uscito nel 2004 da Mondadori), la Sellerio profilava un’immagine del commissario del tutto fuorviante nel tentativo di dare all’iniziativa il carattere dell’evento frutto di coincidenze storiche, dacché Riccardino non prendeva affatto corpo nel 2004 se nel 1999, nella raccolta Gli arancini di Montalbano figura un racconto, “Montalbano si rifiuta”, nel quale l’autore parla col suo personaggio in una prima commistione di ruoli, né il giovane Montalbano cominciava quell’anno la sua carriera, anche come “omo di mare”, perché nella raccolta mondadoriana Un mese con Montalbano, che è del 1998, troviamo in “La veggente” un Montalbano ai primordi vicecommissario a Carlosimo in Alta Italia e in “Par condicio” lo vediamo al secondo anno di servizio a Vigata.