Il romanzo storico di variazione è un genere che più è frequentato quanto meno si sappia di un personaggio o di un evento. Il padovano Matteo Strukul è un abile cacciatore di lacune e non esita a colmarle dei più svariati materiali, come dimostrano i precedenti romanzi dello stesso conio. Una nuova prova di capacità l'ha appena offerta con Il cimitero di Venezia, pubblicato dalla Newton Compton, editrice specializzata nella mistificazione storica piegata ai fini dell’invenzione letteraria. Ma stavolta sia Strukul che la Newton Compton hanno proprio esagerato se, come pare, l’intento è di creare un ciclo di thriller pseudo storici con protagonista Canaletto, il pittore veneziano la cui biografia è scarna e quindi congeniale al piano di Strukul, ma certamente non tale da lasciare immaginare che il mite e sedentario artista, per tutta la vita intento a dipingere vedute, possa mai aver assunto le vesti di un detective ardimentoso e animoso.
Ma è proprio questo che Giovanni Antonio Canal diventa nelle mani di Strukul per colpa di una tela giovanile dalla quale il romanzo prende piede promettendo un entusiasmante e avvincente viaggio nell’arte del Settecento veneziano e nei recessi della ricerca artistica di Canaletto. Niente di tutto questo. Il quadro, Il Rio dei mendicanti del 1724, è solo un pretesto perché il giovane Canaletto si trasformi in quello che la sua natura non avrebbe mai potuto concepire: un investigatore dal cervello fino e dalle gambe lunghe. Che peraltro smette di fare la sola cosa che vuole e sa fare, cioè dipingere.
Galeotta è stata l’arguzia acribitica di Strukul, perché osservando nei particolari la tela esposta a Ca’ Rezzonico scorge un gruppetto di nobiluomini inopinatamente fermi a conversare sulla riva del canale che attraversa il quartiere veneziano dei poveri e si domanda che ci facciano lì e perché Canaletto li abbia dipinti tra decine di miserabili che si vedono sulle gondole, sul ponte e alle finestre. Supponendo correttamente che, per l’uso che Canaletto faceva della camera oscura, le figure ritratte fossero come fotografate e quindi reali, l’autore sbroglia allora la sua fantasia e immagina che il doge in persona incarichi il ventisettenne artista di scoprire cosa faccia in quel postaccio uno dei tre gentiluomini, riconosciuto dalla moglie, una dama sua amica. Lei sgama perciò il marito vedendo il dipinto, ma il marito non sa niente di esso, altrimenti è prevedibile che non torni più in Rio dei mendicanti, dove invece il novello segugio lo scorge di nuovo e lo pedina, seguendo una pista che nella mente di Strukul s’imbroglia al punto da finire in mezzo a massoni, poteri deviati, ebrei ghettizzati, malati di vaiolo, sette misteriche, notabili corrotti, salotti licenziosi, bande giovanili, complottisti, femmes sans merci, figuri luciferini e ovviamente Ermete Trismegisto e misteri egizi: un mondo nel quale il vero Canaletto è davvero così estraneo che non c’è una sola sua tela tra le centinaia che ha profuso nella quale possa intravedersi anche un elemento appena di cotanto torbido.
Il Rio dei mendicanti, 1723, 1724 |
Chi perciò aspetta e spera che Strukul ci guidi alla scoperta di nuovi e suggestivi particolari nascosti nelle vedute veneziane di Canaletto, così ricche di minuziosi bozzetti di vita pubblica, le famose "macchiette", vive una vana attesa e perde via via il pittore per trovare un ingessato giovane al quale la sua arte non serve nemmeno quando, ai fini dell'indagine, gli è utile per dipingere le tracce che va raccogliendo sui corpi delle vittime e negli ambienti che visita. In un’occasione fa però capolino: quando, per il secondo omicidio di una nobile fanciulla, si trova a dipingere (stranamente nel pieno della sua assillante indagine, che tralascia un attimo) Campo San Giacomo di Rialto, tela in realtà creata nel 1726 ma che Strukul è costretto a dare già iniziata da due anni (nei quali però si hanno ben sette diverse tele) in modo che Il Rio dei mendicanti sia stato appena realizzato e i fatti narrati risultino ambientati nel 1724.
Senonché nel 1724 Canaletto è solo agli inizi della sua carriera, per cui la sua amata, Charlotte, non può ammirarlo al punto da parlare di “ideale di bellezza irraggiungibile”, né può tantomeno dirgli parole del tipo “Adoro i vostri dipinti, Antonio. Perché il vostro amore per Venezia è talmente grande da bruciare le tele, grazie alla luce che sapete catturare”. Ma la famosa luce di Canaletto è una conquista degli anni successivi giacché nel Rio dei mendicanti come nelle altre opere precedenti è l’ombra ad avere più rilievo, marcata peraltro da cieli nuvolosi e plumbei, nonché da un accentuato contrasto chiaroscurale che nel tempo si ammorbidirà, ma che per il momento non fa sicuramente pensare a un trionfo della luce in pieno giorno. Non è dunque Il Rio dei mendicanti che può impressionare Charlotte o fare dire all’amico irlandese McSwiney che Canal - non ancora in verità Canaletto - è “il più straordinario talento pittorico di Venezia”.
Invero il giovane artista nel 1724 è ancora alla ricerca della propria cifra. Il Rio dei mendicanti fa parte di una serie di quattro vedute comprese nella “Collezione Liechtenstein” commissionate dal governatore dell’Ospedale dei mendicanti. Le altre tele sono, sempre dei primi anni Venti, Il Canal Grande verso Rialto, Il Canal Grande verso San Vio e Veduta di Piazza San Marco, tela nella quale pure si trovano a pochi passi sia gentiluomini che popolani, come nel Rio dei mendicanti: segno che Canaletto, decisamente realista da giovane, ama sì Venezia ma non tanto da volerne fare cartoline illustrate. Curiosamente è questo il quadro assunto ad abbrivio da Strukul per il suo romanzo quando è l’ultimo che possa esaltare il migliore gusto del tempo a motivo del suo oggetto tutt’altro che edificante per la grandezza di Venezia.
Quanto al romanzo in sé, è un thriller tipico del catalogo Newton Compton: esagerazione e improbabilità a prezzo di una trama concitata e iperbolica. Si tratta nella sostanza di scoprire un complotto ordito da una casta oscura dedita anche a immolazioni di verginelle e tesa alla conquista di Venezia. Canaletto è invitato dal doge a scoprire soltanto chi è e cosa fa tra i mendicanti un nobiluomo, ma una volta assolto il compito non torna ai suoi pennelli perché la ragazza bellissima che si è innamorata di lui (benché non è mai stato un Apollo il giovane artista) e che lui ama viene rapita e gli tocca liberarla. Ma perché viene rapita? Non lo sa nemmeno Strukul, se i suoi carnefici “erano certi di liberarsi di lui colpendo lei. Quale altra spiegazione poteva esserci?”. Nessuna in realtà, ma neppure quella addotta ha fondamento, perché ai complottisti verrebbe più facile rapire e uccidere proprio lui, molto meno protetto, più plebeo e sempre in giro da solo con le sue tele.
Certo, immaginare il pio Canaletto all’assalto nottetempo della fortezza del cimitero di Venezia armato pure di una pistola fa pensare a un fantasy più che a un thriller. Un fantasy per palati grossolani che amano il genere senza doversi fare soverchie domande. E tuttavia non sono nemmeno pochi dal momento che il libro figura tra i più venduti. Per Strukul e Newton Compton non è questo che conta dopotutto?