mercoledì 29 giugno 2022

Siracusa, concerti rock al Teatro greco che muore

 


Articolo uscito sul quotidiano Libero il 24 giugno 2022

Se nel Cinquecento il marchese di Sortino costruì in vetta al Teatro greco di Siracusa cinque mulini e in tempi moderni i siracusani hanno preferito un belvedere con vista sulla cavea ai resti di un gigantesco tempio sovrastante, perché mai si dovrebbe negare ai concerti rock un suolo che nemmeno Elio Vittorini, quando prese la fuga con la sorella di Quasimodo, considerò inviolabile giacché vi trascorse con Rosa più di una notte dormendo sulla pietra tenera e porosa che, per la sua fragilità, uno dei massimi studiosi di materiali litici antichi, Lorenzo Lazzarini, raccomanda solo di guardare e non di toccare? «In un raduno i ragazzi ballano e saltano in migliaia – dice il docente veneziano - e mettono a durissima prova una pietra che non sopporta alcun peso senza danni». Nondimeno i concerti estivi di Baglioni (due), Gianna Nannini, Fiorella Mannoia, Ludovico Einaudi ed Elisa sono stati confermati nonostante la vibrante protesta di archeologi e geologi. La commissione regionale Anfiteatro Sicilia ha scavalcato soprintendente e direttore del Parco decidendo autonomamente non solo per Siracusa ma anche per la Valle dei templi e i teatri antichi di Taormina e Tindari. Perdipiù dal 4 all’11 luglio il Parco archeologico sarà meta di numerosi Vip internazionali, da Beyoncé a Jennifer Lopez a Monica Bellucci, per una sfilata di moda di Dolce & Gabbana. 
«Il Teatro greco è il più massacrato dei beni archeologici siracusani» tuona Giuseppe Voza, lo storico soprintendente appena nominato nel Cda dell’Inda, l’Istituto che promuove gli Spettacoli classici e che Lazzarini giudica «l’unico responsabile dell’ammaloramento». Ogni anno gigantesche e pesantissime scenografie metalliche peggiorano lo stato della cavea sulla quale grava anche una soffocante copertura lignea che gli spettatori calpestano come un parquet. «Sono sconvolto - commenta Voza. - I tecnici inchiodano le scenografie sulla pietra e alzano strutture che impediscono la percepibilità del teatro. Io ci vado innanzitutto per vedere il teatro che oggi però non vedo più. A suo tempo feci realizzare sull’orchestra una piattaforma formata da decine di piramidi rovesciate con soli quindici punti poggiati a terra, sicché il suolo veniva appena intaccato. Ma è scomparsa».
Secondo Lazzarini «l’Inda fa il bello e cattivo tempo esercitando sul teatro un prepotere di fatto. Munge finché può una mucca che dovrebbe invece trattare con cura perché se muore, muore pure l’Inda. Si è addirittura arrivati a gettare del ghiaino lungo gli ambulacri per ricoprire la pietra ottenendo che, essendo più duro, provoca con il calpestio gravissime abrasioni al suolo». Il geologo Fabio Caruso del Cnr osserva che ormai «qualsiasi intervento di cura e di copertura non provoca che danni. Ciò che si può fare è restringere al massimo il calendario delle Rappresentazioni classiche», che però l’Inda prova ad estendere per fare più incassi. Mariella Muti, già soprintendente e artefice di un progetto di consolidamento fallito come tutti gli altri, dice che «soltanto per le Rappresentazioni è accettabile un sacrificio e chiedere al teatro di fare uno sforzo, ma per nessun altro evento». Tuttavia bastano i 450 mila visitatori l’anno ammessi a passeggiare nella cavea ad accrescere i danni. Ad essi si aggiungono gli oltre centomila spettatori che da maggio a luglio si ammassano in migliaia ogni giorno per le tragedie greche. «Non resta che decidere quando fare morire il Teatro» conclude amaramente Caruso.
La cavea cade in realtà a pezzi. La parte settentrionale di blocchi calcarei non c’è più dal 2014. Manca una vera vigilanza e fino a due anni fa il turista era tentato di mettersi in tasca un granello di pietra facilmente scalfibile, poi il direttore del tempo Calogero Rizzuto, ucciso dal Covid, ha impedito di sedersi e camminarci. Ma nemmeno lui poté nulla per la pulizia mancata per quarant’anni: al punto che Carlo Castello, decano delle guide turistiche, ricorda la reazione dei turisti «che volevano restituiti i soldi del biglietto per l’incuria che trovavano». Solo da qualche mese, con la gestione della Aditus, il Parco della Neapolis è stato discerbato e bonificato: ma per giovare a nuovi programmi di intrattenimento e di spettacoli tra l’Orecchio di Dionisio e la Grotta dei cordari, riaperta dopo 37 anni. Anziché musealizzare il Parco per proteggerlo al massimo, il nuovo corso è di intensificarne il sovrautilizzo. Persino con la creazione di un piccolo B&B privato.
Giusto o sbagliato, il problema non è però il Parco, quanto il teatro al suo interno. Dice Carlo Staffile, il direttore del Parco esautorato dalla Regione nonostante il gran lavoro di rivalorizzazione intrapreso: «La tutela è della Soprintendenza. Appena un mese fa ho chiesto che venissero gli esperti per un primo sopralluogo in vista di un progetto di consolidamento, ma non si è visto nessuno». Del resto il Parco manca dall’inizio del Comitato tecnico-scientifico che dia voce decisionale agli esperti, per modo che a decidere è da sempre solo la politica. La stessa che ha silurato Staffile, colpevole di aver dato troppo spazio alla Aditus, una società che viene da fuori ed è accusata di speculare sui beni archeologici di Siracusa. Dove c’è sempre un forestiero che come Platone viene per cambiare in meglio le cose ed è visto al pari di un nemico da cacciare via.