giovedì 15 gennaio 2004

Bufalino, cultura assente ma tanti giovani ai funerali

 


Quando la Germania ha segnato, un lungo appaluso si è levato nel cielo di Comiso, dove in quel momento dalla pinacoteca usciva, portato a spalla, il feretro di Gesualdo Bufalino. Dal canto loro le autorità politiche provinciali, visibilmente provate a ragione di una ossessionante campagna elettorale, hanno prontamente interrotto di fare pronostici sui possibili eletti e si sono compenetrati con ritegno nelle circostanze.
Preceduto da gonfaloni comunali, sindaci e assessori, il corteo si è mosso attraverso strade pavesate di avvisi di lutto cittadino che, confusi con manifesti del tipo “Addio Bufalino, ti amiamo quanto un paese”, a evocazione di una sua bella poesia, disputavano spazio a attenzione ai variopinti e variegati manifesti elettorali. Tra Europei di calcio ed Elezioni regionali, il funerale del più grande scrittore italiano del Dopoguerra è così diventato un fatto paesano, da cronache locali. Ma quasi certamente lui l’avrebbe voluto proprio così.
Bufalino è stato seppellito nel giorno in cui la Sicilia ha provato un improbabile rinnovamento e se n’è andato non votando. Chissà che non si freghi le mani come un suo personaggio da romanzo. E chissà se ha gradito tanta pompa: discorsi ufficiali, palchi in piazza, canti funebri, manifesti e corone. Certo avrà deprecato l’usanza tutta comisana di ostentare i cadaveri chiudendoli in sofisticate celle frigorifero come bare tenute a meno undici gradi e ricoperte di vetro che consente di vedere ogni dettaglio del corpo minato dalla decomposizione. Strano destino di chi mai avrebbe permesso di mostrarsi con la bocca innaturalmente aperta, i vasti ematomi in faccia e la spettrale magrezza che assumono le persone morte – lui che fuggiva dai fotografi per cancellare la memoria di sé mentre chiedeva magari se il berretto in testa lo migliorasse in televisione. Certo avrà gradito l’assenza di autorità istituzionali nazionali, che amava rifuggire quasi fossero premi letterari da detestare alla stessa maniera. E se “nel mondo della verità” dove è andato qualche aforisma ha già scritto è nel senso che lo Stato ama il potere e manda suoi ambasciatori quando muore un temibile rassoneur come Sciascia ma non amando la letteratura si libera dell’obbligo di farsi rappresentare dai suoi ministri alla cultura quando scompare un flebile conteur come lui.
Ma più di ogni altra cosa, Bufalino avrà gradito l’impressionante presenza di tanti giovani nella sua biblioteca, giovani che hanno pianto e si sono abbracciati davanti alla sua bara perché evidentemente hanno amato il poeta dal cuore grosso e dalla parola lieve che si nutriva di rime, di riso e di malinconia. E chissà se Bufalino avrà approvato un funerale religioso come quello celebrato nella Chiesa Madre, lui che era ateo e osava confutare Dio e che, concedendo deroghe al suo inguaribile nichilismo, si dichiarava semmai “nunziataro” anziché “matriciano”. Forse per questo gli impalpabili organizzatori del suo funerale hanno pensato a un corteo che dopo la funzione funebre alla Matrice arrivasse anche alla chiesa dell’Annunziata, così da pacificare nel suo nome una disputa parrocchiale sopita ma mai risolta.

La madre e la moglie Giovanna in prima fila

Bufalino comunque avrebbe detto no a tanta platealità e si sarebbe schermito con uno dei suoi rarissimi e misurati sorrisi. Se avesse potuto preventivare la sua morte avrebbe senz’altro dettato disposizioni irrefutabili come, meticoloso e pignolo, faceva all’uscito di ogni suo libro. Ma forse avrebbe concesso che il corteo sostasse davanti al circolo Kasmene, dove ogni pomeriggio amava profondersi, prima di una passeggiata da Piazza Fonte Diana a casa sua, in accanite scale quaranta (dopo tanti anni dedicati agli scacchi, primo amore divenuto poi troppo stancante) con il suo irriducibile e sempre fisso avversario che era Nicola Savarese. Il quale è rimasto solo, come soli sono rimasti Ciccio Cassarino, Filippo Vitale e tutti i comisani, giunti ieri in massa a costipare la chiesa e ascoltare don Rino Farrugio, il sacerdote che a Vittoria sposò Dino e Giovanna. Don Rino ha voluto ricordare quanto Bufalino gli disse prima di salire sull’altare: «Tutto approvo e a nulla mi oppongo del mistero di Cristo e della Chiesa ma capisco come posso». Parlando al corpo inanimato posto ai piedi dell’altare, il sacerdote da spiegato: «A me quella tua professione d fede parve corretta e accettabile entro i limiti dei poteri conferitimi. Mi sembrò l’attestazione sincera, in un momento di coscienza della sensibilità religiosa e cristiana, della disponibilità senza riserve che animava ogni tua espressione di vita e di arte. E come gradisti la citazione di Paul Claudel: “Cisto non è venuto per spiegare la croce ma per distendersi su di essa”».
Peccato non potere avere la risposta di Bufalino al prete che gli è stato più caro (forse perché il più attento alla sua macerazione interiore) e che alla fine ha benedetto con convinzione e forza la salma ricoperta di corone, delle quali solo una è venuta da fuori: quella di Carla Fracci. Il mondo della cultura che fino a ieri lo ha blandito ha dimenticato Bufalino lo stesso giorno in cui avrebbe dovuto celebrarlo. Ma saranno gli amici del paese a non farlo dimenticare.
Nei prossimi giorni infatti dovrebbe prendere consistenza il progetto di istituzione di una fondazione che negli ultimi giorni di vita Bufalino aveva accettato promettendo la sua firma dopo anni di sincera riluttanza e di tenace resistenza. Non voleva essere storicizzato né si riteneva degno di intitolare una fondazione. Ora dovranno essere i parenti a sostenere la difficile iniziativa. Come per Sciascia, si profilano quindi per Bufalino le vicende più odiose e lunghe: quelle burocratiche. Ma è un’altra storia.

Articolo uscito il 17 giugno 1996 sul quotidiano La Sicilia