venerdì 21 marzo 2014

Nadine Gordimer, il modo sbagliato di dirsi atea


In una intervista uscita ieri la scrittrice sudafricana Nadine Gordimer si dichiara non credente. E c’è da crederle se una tale riaffermazione arriva all’età di 91 anni, quando molti atei si affrettano a convertirsi sperando di fare in tempo.
Il premio Nobel dichiara le ragioni per cui non può credere in Dio: “Non posso pensare che la mia moralità, il modo in cui mi comporto nei confronti degli altri, sia dettata da qualcuno che se ne sta seduto lassù. Quando sbagliamo, quando ci comportiamo male, possiamo biasimare soltanto noi stessi. Chiamare in ballo un Dio? No... Quando succede un incidente, una catastrofe e io me la scampo, come si fa a dire “Dio mi ha salvato”? Come posso credere in un Dio che sceglie me e lascia morire un altro?”. Un ragionamento apparentemente inappuntabile, quasi logico e razionale. Ma è invece senza senso, quantomeno perché espresso da una famosa scrittrice nota per la sua capacità di penetrare la coscienza umana.
La Gordimer sembra concedere chances all’esistenza di Dio solo in assenza nel mondo di disparità di trattamento, cosa che in altre parole significherebbe porre tutti gli esseri umani nella stessa griglia di rischi e impedire che qualcuno abbia maggiori possibilità di sopravvivenza di un altro: il che postulerebbe un mondo che non è questo, un’altra Creazione dove non possono più esistere forme di vita quali il dolore, il rimpianto, la paura, il coraggio, la speranza, insomma l’uomo come lo conosciamo e com’è, creato o no che sia stato da Dio. 
Ma c’è un altro aspetto da cogliere ed è il rovescio dell’esempio proposto dalla Gordimer: se un uomo ricava dalla stessa condizione un bene mentre un altro subisce un male, e se quindi succede anche il contrario, è anche perché non è possibile che un uomo subisca un danno senza che un altro abbia un vantaggio e viceversa. E’ una legge di natura e quindi una legge divina che a quelle dell’universo si uniforma, come dice anche la Bibbia. Succede anche in economia, nel gioco di compravendita delle valute e dei titoli: se in una parte del mondo c’è chi compra da qualche altra parte c’è chi vende. 
Nella vita, inevitabilmente, non c’è un solo atto umano nel quale un bene non equivalga un male. In un processo giudiziario la condanna dell’imputato di una colpa corrisponde al soddisfacimento di un interesse dello Stato, quindi di tutti, o di una parte civile. Anche in una catastrofe nella quale muoiano migliaia di persone si può ipotizzare che ce ne siano altrettante che, per imperscrutabili disegni del caso, altrimenti detto destino, ne avranno un beneficio, che sia anche un cambiamento di vita. 
Se le cose stanno così, se il mondo è una bilancia, se insomma la vita risponde alle stesse regole che Cartesio trovò per spiegare il fenomeno del vortice, dove una massa d’aria esce per fare posto ad un’altra, se male e bene sono risvolti della stessa medaglia e se dunque, come ci dicono alcune supposizioni, Dio è anche bene e male insieme, così come c’è un Dio cattivo, quello veterotestamentario, contrapposto a un Dio buono neotestamentario, allora non si può imputare a Dio né la morte ingiusta di un uomo né la fortuna altrettanto ingiusta di un altro. 
La questione relativa alla teodicea, la presenza cioè del male nel mondo, va semmai affrontata non nei termini della Gordimer, che immagina un Dio seduto lassù e indifferente alle sorti dell’uomo, ma nel senso di una presenza divina dalla parte dei sofferenti. Sicché si può rispondere alla Nobel africana che nel caso di una catastrofe da cui scampasse lei può ringraziare per conto suo il Cielo per averla salvata ma può nello stesso tempo anche pensare che Dio sia al fianco dell’altro che muore. Non è che lo lascia morire. Secondo quanti credono, muore piuttosto con lui. E muore ogni volta ad ogni morte ingiusta. La croce non racconta che questo: che cioè Dio non sta seduto lassù a godersi i mali del mondo che ha creato.
Con la morte in croce Gesù rivela il dolore e il male nel mondo accettandoli. Sapendo di non poterli evitare, indica come darsi coraggio e come affrontarli. Dice Matteo che "il Padre nostro fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti", per significare che nessun uomo può avere un trattamento privilegiato né persecutorio.