giovedì 20 marzo 2014

"Lei", un film sull'altrove che è un altrimenti


Accolto in Italia con giudizio discorde (film a metà per alcuni, capolavoro da cinque stelle per altri), Lei di Spike Jonze va esaminato su tre banchi distinti.
Il primo è quello contenutistico, intrinseco, dove si rivela un mèlo estenuante e stancante, più insensato che cerebrale, con molte incongruenze, non ultima quella di un Theodore, il protagonista (un Joachin Phoenix che troppo ricorda l'imperatore cattivo del Gladiatore per riconoscerlo nei panni di un buono sull'orlo della depressione), l'uomo più multitasking che si possa immaginare, costretto quando è lontano dal pc a dipendere, per conoscere le sue email, da un sistema operativo che le legge per lui, non possedendo dunque uno smartpfhone che abbia questa funzione elementare, ma anche con molte improbabilità: una Los Angeles fotografata sempre nella nebbia, pure in estate; un libro da pubblicare che è una raccolta delle lettere scritte al posto di altri, i quali non hanno nulla da ridire sulla violazione della privacy e dei diritti d'autore; la disinvoltura con cui gli amici parlano in un pic nic con Samantha, cioè la compagna virtuale di Theodore, ovvero una voce emanata da un computer: come se la coppia di fatto 2.0 formata da una persona e un Os (acronimo di sistema operativo) fosse un fenomeno di massa divenuto naturale; il contrasto tra una ambientazione tenuta nel nostro tempo e una vicenda che, per la presenza di prodotti telematici e informatici ancora immaginari, sembra svolgersi in un futuro molto avveniristico ma è riferita come una scoperta scientifica avvenuta oggi. 
Il film non è in sostanza narratologicamente credibile, con gravi pecche quanto alla regia, senonché questo piano di interpretazione va portato alla misura del secondo, dove Lei guadagna meriti relativamente alla sceneggiatura, che infatti ha vinto l'Oscar soprattutto per l'originalità. L'idea della solitudine dell'uomo contemporaneo, ancor più solo quanto più stia in mezzo a una stragrande moltitudine di esseri umani, con i quali però non è più insieme ma solo collegato, è resa con spirito da science-fiction che se è inverosimile è però possibile: la bambola di gomma di un tempo, tenuta nascosta e amata come una donna vera, feticcio fino agli anni Ottanta, è diventata un sistema operativo dotato di coscienza che si perfeziona in base all'esperienza che fa, quindi di momento in momento. Più sta nella realtà e più umano questo programma diventa, fino al punto da parlare prendendo fiato, come se avesse anch'esso bisogno di ossigeno. Acquista quindi una proprietà che solo le persone posseggono: i sentimenti. 
Samantha e Theodore si innamorano come se tutto ciò fosse normale. Ma normale non è: Samantha ama una voce e un corpo che vede attraverso lo smartphone di Theodore, il quale si deve fermare alla sola voce. Di fronte a questo squilibrio che mina il rapporto, Samantha si rivolge a un'agenzia che mette a disposizione degli Os persone vere la cui funzione è quella di dare un corpo umano a un Os, uomo o donna che sia, come se fosse un'estensione. 
Ma la ragazza che Samantha assume getta Theodore nella peggiore crisi di identità e di aderenza alla realtà che possa avere in una situazione di per sé alienante: sente la voce di Samantha che gli parla ma quella che accarezza e bacia è Elisabetta, che fa di tutto per essere Samantha ma senza ovviamente riuscirci. L'esperimento fallisce. Ma non è per questo che il rapporto d'amore virtuale tra il pc e lo scrittore di lettere d'amore per conto altrui si incrina. 
La più grave ma spiegabile e immaginabile conseguenza che esso può determinare è proprio quella che il film propone: essendo un sistema operativo programmato per fare esperienze analoghe e migliorarsi con esse, Samantha entra in contatto con altre persone come Theodore con le quali intrattiene lo stesso rapporto fatto di assistenza, dialogo, confidenza, cameratismo fino a superare i seimila partner. 
E' ovvio che Theodore debba chiederle se parla agli altri come parla a lui e se è innamorata di qualche altro. Lei confessa di essere innamorata di oltre seicento uomini, ma non allo stesso modo, perché li ha conosciuti dopo. Ciò che se può apparire normale per un computer non può esserlo per un uomo. Il sistema operativo ha imparato a nutrire sentimenti e a innamorarsi ma non sa quando fermarsi e non potrà mai capire che si può essere innamorati solo di una persona. Sarebbe stato logico a questo punto che a sua volta chiedesse a Theodore perché lui non accetta che lei possa essere innamorata di altre persone mentre al mondo gli uomini possono farlo quante volte vogliono purché non contemporaneamente. Ma il film ha preso un'altra piega immaginando un esito che riporta alla nostra realtà, quasi per dire "abbiamo sognato, torniamo con i piedi a terra".
"Lei" torna quindi un pronome personale che indica un essere umano di genere femminile ma che il regista ha usato per designare un'entità virtuale e astratta, un'inesistenza che avrebbe dovuto più correttamente additare con un neutro "essa". Il progetto è quello di rendere reale l'altro da sé, il differente da assimilare, l'ultramondano da accogliere in questo e naturalizzare umanizzandolo. Stiamo parlando del soggetto, che sarebbe stato degno vincitore dell'Oscar se nel cinema il soggetto valesse quanto la sceneggiatura e non fosse ritenuto invece un elemento estraneo, appartenente alla sfera della letteratura. Ma molte volte senza un soggetto, anche quando non si tratti di un romanzo da trasporre, non c'è nemmeno la sceneggiatura. In Lei il soggetto integra il terzo e più decisivo piano di interpretazione, perché recupera nell'era del progresso informatico un modello di materializzazione uniforme che si è andato adattando secondo i tempi. 
Samantha è infatti Sam Wheat di Ghost, film del 1990. Il fantasma che per amore torna sulla terra è oggi diventato il sistema operativo che per amore fa irruzione nella realtà. Ma con tappe intermedie di evoluzione. Otto anni dopo non c'è infatti bisogno di rappresentare l'altro da sé evocando spettri dall'oltretomba perché questo procedimento è possibile con i mezzi dell'invalente realtà virtuale. The Truman Show, film del 1998, racconta non un revenant dall'altro mondo ma riprende il motivo di Ritorno al futuro del 1985, altro genere di sdoppiamento spaziotemporale senza sconfinare nel fantasy, per immaginare un viaggio non in un mondo altro o in un tempo diverso ma in una dimensione astratta, destrutturata, ridotta a una realtà che non c'è. Truman Burbank vive in un reality show che per tutta la sua vita ne ha fatto un soggetto da osservare voyeuristicamente in un mondo popolato di attori.
In un viaggio a ritroso nel tempo il modello della scomposizione dei fondamenti reali lo ritroviamo in più occasioni, in pittura con Las meninas di Velazquez del Seicento per esempio, fino ad arrivare al principio di questa spinta dell'uomo a cercare l'altro e rompere la realtà o crearsene un'altra, e cioè al mito della caverna di Platone. Gli uomini che guardano il muro dove si stagliano ombre di passanti alle spalle proiettate da un fuoco in mezzo non vedono che quella realtà e credono che le ombre siano vere, tanto più che conoscendo il mondo autentico ritengono che sia popolato da mostri.
Lei di Jonze rappresenta in definitiva l'evoluzione del genere e forse anche della specie. E vuole significare che esistono altri mondi e altre dimensioni ma, pur cercando in tutti i modi di penetrarli e conquistarli non facciamo che tornare nel nostro dove intendiamo rimanere: anche quando abbiamo prova che è falso e forse ingiusto e ancor più quando pensiamo di dominare l'altrove con la forza di sentimenti che valgono solo nel nostro, senza accettare che quell'altrove che cerchiamo non può che essere un altrimenti.