Raffaele Lombardo ha tutte le ragioni per difendersi, ma non la licenza di farlo in tutte le sedi. La conferenza stampa, convocata per commentare la motivazione alla sua sentenza di condanna, è stata un arbitrio e uno sbaglio.
E' stata un arbitrio perché si fonda sull'interesse che la sua persona suscita sul piano mediatico (che poi è quello che egli vitupera per esservi stato "massacrato"), sicché determina un utilizzo della stampa che lo mette su una posizione di forza che il giudice che lo ha condannato non ha e che viene così contestato in pubblico senza che il pubblico possa sentirne la replica. E' stata uno sbaglio perché l'opinione pubblica che vorrebbe sensibilizzare al suo caso di malagiustizia non può formarsi di fronte alla farragine di ragioni, controdeduzioni, versioni, ricostruzioni e descrizioni di fatti e persone che l'ex governatore ha sciorinato per un'ora martedì pomeriggio a Catania: proprio di fronte al Palazzo di giustizia, in quell'hotel Excelsior che si è fatto un nome per essere sede, almeno fino a un recente passato, di incontri politici riservati. Se quelle mura potessero parlare, i prospicienti uffici giudiziari dovrebbero essere ampliati. Lì per decenni aveva una camera sempre prenotata il senatore La Russa che il sabato riceveva gli amici in un angolo della hall. E lì sono nate giunte comunali e provinciali, candidature, patti più o meno scellerati e Dio sa cos'altro. Lombardo non poteva scegliere tribuna più significativa.
L'ex governatore ha l'inviolabile diritto di addurre tutte le sue ragioni a difesa, ma deve farlo nelle sedi dove quelle ragioni possano valere. Ma egli, da navigato anche se trombato populista, sa bene che le ragioni della piazza sono più solide di quelle di un tribunale o comunque possono servire a condizionarle. Così, mutuando il sistema Berlusconi, si è rivolto alla piazza ed ha già annunciato quali saranno le sue armi: facebook, blog, youtube e conferenze stampa. Niente memorie difensive, indagini con propri detective, carte bollate e quant'altro non possa superare le colonne all'ingresso del Palagiustizia.
Disposto l'armamentario, è al popolo che infatti Lombardo si rivolge ma per parlare ai giudici, ai quali riconferma tutta la sua considerazione nel momento stesso in cui demolisce la sentenza adombrandola come frutto di una pazzia. Una sentenza in verità basata su supposizioni logiche, derivati deduttivi, presunzioni teoriche che sono lo scenario offerto dalla fitta rete lombardiana di conoscenze e relazioni più sporche che pulite, a mettere insieme la quale quel che appare è un logico, appunto, legame tra Lombardo, le cosche e i poteri economici forti. Che però non è dimostrato in un episodio probante, in una sorta di flagranza. E' una presunzione logica ma non fattuale.
Sentendolo anche su youtube si capisce che un paio di buoni avvocati gli procureranno in appello un'assoluzione che suonerà come il finale di quei film americani dove l'imputato viene mandato alla fine assolto ancorché sia evidente a tutti che è colpevole.
Lombardo incarna l'uomo politico a cavallo delle due repubbliche che meglio di ogni altro ha saputo tesaurizzare i cespiti della prima nel clima di attese della seconda: costituendo il più grande apparato clientelare mai visto, soprattutto al tempo della presidenza della Provincia, e accogliendo le istanze di rinnovamento agitate dalla Sicilia dando ad esse il nome di autonomismo, politicamente collocandosi esattamente al centro tra destra e sinistra tanto da arrivare a porre, per la formazione addirittura di governi nazionali, la condizione che fosse rilanciata la questione meridionale. Sulle ali di questa politica ante-renziana e di sapore leghista-orlandino, Lombardo ha conquistato la poltrona più alta in Sicilia, quella di governatore, seduto sulla quale si è sentito non più un governatore ma un vicerè, assiso sul trono a vita e arbitro dei destini siciliani.
Ma non è stata certo la mafia a tenerlo così in alto, perché la mafia, come giustamente ha osservato, non ha voti o ne ha quanti sono sufficienti per eleggere un sindaco di paese, non un presidente della Regione. A tenerlo a Palazzo d'Orleans è stata la vasta rete clientelare che negli anni si era costruito come un ragno paziente e tenace. La prova è nel suo stesso exploit. Doppio, perché non solo lui è stato il governatore più votato di sempre ma anche perché il suo partito (nato dal niente, battezzato con uno statuto scopiazzato qua e là e fatto redigere da soloni di borgo, privo di ogni spinta ideologica e altamente populista perché basato sul più vieto e smaccato sicilianismo: tanto insussistente che a un certo punto Lombardo pensò di cambiargli nome e addirittura rifondarlo) è stato in grado di esprimere una nutrita compagine parlamentare sia regionale che nazionale.
Il re della clientela, il figlio migliore della Democrazia cristiana etnea, deve ringraziare solo se stesso e il suo talento a reclutare iscritti se ha vissuto una stagione breve ma infiammata. Ma deve anche accusare se stesso se la bella stagione è finita quando, tessendo e ritessendo, ha ingarbugliato i fili della sua rete a tal punto da non trovare più il bandolo, finendoci dentro e chiudendosi da solo come il baco nel bossolo. C'è una spiegazione: Lombardo conosceva la politica e la maneggiava come un funambolo, ma non conosceva la parapolitica, quella plaga sconfinata dove si intrecciano poteri mafiosi ed economici. Che non ha saputo controllare né tenere a distanza o a bada e che lo ha irretito e rovinato.
Il re della clientela, il figlio migliore della Democrazia cristiana etnea, deve ringraziare solo se stesso e il suo talento a reclutare iscritti se ha vissuto una stagione breve ma infiammata. Ma deve anche accusare se stesso se la bella stagione è finita quando, tessendo e ritessendo, ha ingarbugliato i fili della sua rete a tal punto da non trovare più il bandolo, finendoci dentro e chiudendosi da solo come il baco nel bossolo. C'è una spiegazione: Lombardo conosceva la politica e la maneggiava come un funambolo, ma non conosceva la parapolitica, quella plaga sconfinata dove si intrecciano poteri mafiosi ed economici. Che non ha saputo controllare né tenere a distanza o a bada e che lo ha irretito e rovinato.
Epperò è stato condannato per le sue collusioni con la mafia. Soltanto un giudice non siciliano, giovane o poco addentro alle cose di Sicilia, può immaginare che un sindaco, e tanto più un presidente della Regione, sia in grado di non avere rapporti di alcun genere con mafiosi. I quali non sono riconoscibili e tipizzati come al cinema, bunaca e schupetta, né sono quelli che vede in maniera manichea l'attuale governatore Crocetta, che ha una sua lavagna personale sulla quale decide lui chi deve stare tra i cattivi, ma sono - tanto più oggi - in giacca e cravatta, sono professionisti, industriali, imprenditori di successo, del tutto indistinguibili, come alieni incarnati in umani. La vecchia regola accusatoria per cui una persona è imputabile di concorso mafioso se risulta che conoscesse il mafioso non vale più in un regime di relazioni dove il funzionario pubblico e l'esponente istituzionale non sanno chi hanno davanti, né sanno che la persona con cui parlano non è un mafioso oggi ma può diventarlo domani.
Entro questa prospettiva, Lombardo è innocente come un pero attaccato dalle termiti. Discorso diverso è quello della condotta politica, quella che in taccia di vicerè plenipotenziario Lombardo ha tenuto pretendendo di disporre di tutti, che fossero mafiosi o no. Esemplare la confessione che ha fatto in conferenza stampa quando ha detto di avere mandato al diavolo un suo vecchio amico e sodale per aver fatto votare il candidato di un altro partito. Quell'amico è stato cancellato dal mondo lombardiano, anche a distanza di anni quando ha cercato una rappacificazione. Per il vicerè di Grammichele la fedeltà è stata più importante del suo riporto. Per lui la Sicilia si divideva in due aree: amici e nemici. I secondi si sono dimostrati davvero tali e, sapendo che Lombardo non perdona al pari di un dio dell'antico testamento, quando hanno potuto lo hanno affossato.
Di questi errori, di questa colpa di violazione del codice etico, Lombardo deve rispondere. E infatti ha risposto con la pressoché totale scomparsa dalla scena, sua e del suo partito. Ora torna sulla ribalta parlando a una piazza che però non ha più bisogno di lui perché lui non ha più prebende e favori da elargire. E sbaglia a farlo, perché non ha più lo spazio, l'attenzione e l'interesse che aveva quando La Sicilia gli dedicava quasi uno spazio fisso, molte volte con titoli in prima pagina e interviste a getto continuo. Dice che andò al fatale appuntamento nella stanza di Ciancio, dove lo attendevano anche le microspie, perché era stato invitato per essere intervistato e non per mafiare. Che bisogno aveva di spostarsi e trattenersi anche con Ciancio se ogni giorno era sul giornale? E perché era ogni giorno sul giornale?
Di questi errori, di questa colpa di violazione del codice etico, Lombardo deve rispondere. E infatti ha risposto con la pressoché totale scomparsa dalla scena, sua e del suo partito. Ora torna sulla ribalta parlando a una piazza che però non ha più bisogno di lui perché lui non ha più prebende e favori da elargire. E sbaglia a farlo, perché non ha più lo spazio, l'attenzione e l'interesse che aveva quando La Sicilia gli dedicava quasi uno spazio fisso, molte volte con titoli in prima pagina e interviste a getto continuo. Dice che andò al fatale appuntamento nella stanza di Ciancio, dove lo attendevano anche le microspie, perché era stato invitato per essere intervistato e non per mafiare. Che bisogno aveva di spostarsi e trattenersi anche con Ciancio se ogni giorno era sul giornale? E perché era ogni giorno sul giornale?