giovedì 21 agosto 2014

Non ci sono più modi e modi




Il giorno in cui nella serie Tv americana Homeland abbiamo sentito dire “Non mi va di accompagnare i bambini a scuola come tante donne che ci vanno in pigiama” abbiamo capito che tutto il mondo è paese. Perché anche così dicono mamme delle nostre parti, da questo lato del mondo. Dove in realtà ci sono donne che in pigiama portano i figli a scuola.
Chi se ne stia davanti alla televisione verifica in ogni momento che il mondo è uguale al proprio microcosmo. Segue i Mondiali di calcio e vede che tutte le nazionali usano bottigliette di acqua identiche a quelle che ha in frigo, per grandezza e formato; vede un film e osserva che nella più sperduta cittadina del West la carta igienica è confezionata a rotoli come quella che tiene in bagno; in un telefilm vede auto come quelle che passano davanti casa sua, telefonini uguali a quello che ha in mano, schermi di computer in cui chi digita attiva Google seguendo la sua stessa procedura. 
E tutto ciò non in Europa, ma nelle Americhe, in Canada, in Giappone, persino nel Medioriente e chissà se davvero in tutto il mondo. Viaggiare diventa così vedere luoghi dove operare un riconoscimento anziché fare conoscenza del nuovo, per cui la ricerca del diverso diventa sempre più rara e distante. Se un tempo l’assimilazione era possibile con lo spostamento da un luogo a un altro di un numero sempre crescente di persone, dall’avvento dell’era telematica e informatica in poi sono le idee che si muovono lasciando le persone a casa: idee che comprendono immagini, video, files, testi, che uniformano i gusti, i desideri, i bisogni, i modi di pensare. Questo fenomeno lo vediamo nel cinema.
Logica vorrebbe che un personaggio non si confonda con un altro per essere riconosciuto e ricordato, così come una persona non può essere la copia di un’altra se non è la gemella. Di conseguenza l’attore che interpreta un film non può ricomparire in un altro vestendo i panni di tutt’altro personaggio. Il rischio è che non sia identificato determinando un danno allo stesso film. Nell’antica Grecia l’impiego di un attore nei panni di più personaggi, anche femminili, era dettato da ragioni economiche, ma il problema di non creare confusione era così sentito che ogni interprete indossava una maschera, che diventava la facies del personaggio. Non contava dunque l’attore, almeno fino a una certa epoca, ma il coreuta, cioè il regista che “chiedeva il coro”. 
Oggi invece l’attore è così centrale nell’industria cinematografica da determinare le potenzialità del film: che può avere successo non in base al suo contenuto, la trama, le scene, la regia, ma grazie agli interpreti se sono o meno celebri e richiesti. Si potrebbe pensare a una stortura del settore, ma in realtà se non fosse così non esisterebbe il cinema.
In un film un personaggio può essere infatti interpretato in modo differente secondo chi sia l’attore. Che è quello che deve piacere al pubblico e al quale il pubblico tributa il suo favore o meno. Questo perché, nell’interpretazione del personaggio, l’attore non può non rimanere la persona che è: con i suoi modi, la sua gesticolazione, le sue espressioni, il suo incidere. E quanto più il regista lascia libero l’attore di essere se stesso tanto più ottiene che egli sia più interprete che personaggio. La cui figura si precisa nella fissità e nell’immodificabilità: cosa rarissima. 
Un attore può dunque girare più film portando in essi se stesso e alla fine rappresentandosi più che interpretando un personaggio. Porta cioè sullo schermo i suoi modi. Che sono come le impronte digitali. Nessuno al mondo le ha uguali ad un altro. Così anche i modi: come cammino, sorrido, gesticolo, mi giro, guardo e parlo io non lo fa nessuno. Ci si innamora infatti dei modi di una persona, mai di una faccia né di uno solo dei modi. Che sono personalizzati ed esclusivi. Se così non fosse ci innamoreremmo tutti delle stesse persone.
Come amiamo in una persona i suoi modi così amiamo quelli di un attore, che ci piace perciò rivedere in più film anche di genere molto diverso. Questo fenomeno determina la nostra propensione a vedere un film secondo gli attori che lo interpretano e segna quindi il successo di uno su un altro. Se piacciono a un pubblico vasto, non composto da una sola persona, è perché non ce ne innamoriamo. Ma non è raro, anzi tutt’altro, il caso che i modi di una persona piacciano a tanti altri che se ne innamorano alla stessa maniera. Quando questo succede contemporaneamente si creano corti circuiti, sicché vengono evitati. In generale però ci affezioniamo a un attore in un numero che quanto più è alto tanto più ne designa il valore e il successo. Si tratta di un gusto solo estetico, di una attrazione che ci lascia liberi di pensarla diversamente sia sull'attore che sul personaggio come sull'interpretazione.
Ma ora assistiamo a un fenomeno nuovo: i modi di fare che amiamo in una persona cominciano ad assimilarsi ai modi di pensare, che è la visione che abbiamo del mondo e come lo vorremmo a nostra somiglianza. La globalizzazione, partita per omologare le sole merci imponendo un prodotto ad un mercato sempre più esteso, sta influenzando le nostre coscienze per indirizzarle alla formazione di un gusto unico, planetario. Ecco perché nell'Oregon c'è la stessa carta igienica che si trova in Brianza: il mercato vuole che quando pensiamo alla carta igienica la immaginiamo tutti allo stesso modo.
I modi di pensare, che il processo di globalizzazione sta uniformando come risultato massimo della sua affermazione, stanno dunque assimilando via via i modi di fare cancellando quelle che sono le nostre impronte individuali e facendo di una persona privata un pubblico osservante. Alla fine crediamo di determinare con i nostri comportamenti, modi o maniere, la produzione di beni e servizi, ma è la produzione che decide cosa deve piacerci o no. Potremmo di questo passo anche pensare che non siamo noi che preferiamo un attore a un altro ma è lui, quando avrà modi studiati in laboratorio, a scegliere i suoi spettatori. Anziché persone con i nostri modi di fare e di pensare siamo, a secondo il mercato, utenti, pazienti, clienti, spettatori, lettori, pedoni, automobilisti, consumatori, cittadini eccetera. Cento volte al giorno, senza rendercene conto, cambiamo natura e veste e quindi modi di fare e modi di pensare.