lunedì 24 novembre 2014

Crollo dell'affluenza, prova di democrazia


Il flop di affluenza alle urne in Emilia e in Calabria viene analizzato, nei commenti di oggi, secondo quanto ha lasciato da conteggiare in termini di risultati piuttosto che in base a quanto ha tolto alla stessa possibilità di ritenere legittime le votazioni stesse.
Se oltre la metà degli aventi diritto si astiene dal voto, non conta più chi abbia vinto o perso perché a conti fatti chi ha vinto è stato il partito del non-voto. Che, quando si mantiene entro limiti fisiologici si chiama astensionismo - inevitabile in ogni democrazia - ma che quando diventa largamente maggioritario assume il nome di delegittimazione. Che dovrebbe significare bocciatura non di questo o quel partito, volontà questa esprimibile solo andando a votare per uno o per l'altro schieramento, ma della politica in sé. E' di questa sconfessione totale, imponente, senza precedenti, che si dovrebbe parlare e non nei termini in cui lo ha fatto Renzi che ha concluso dicendo quanto importante sia stato avere vinto su entrambi i banchi. 
Non ha vinto Renzi come non ha vinto nessun altro. Gli italiani emiliani e calabresi, ultima ondata di un malcontento e di una protesta che viene da lontano e da tutto il Paese, non andando a votare non hanno espresso, come si crede ripetendo vecchi refrain, disaffezione verso la politica, perché la loro volontà l'hanno manifestata eccome: tutti a casa, compresi i neo-rottamatori. Ma questa antifona i partiti non la vogliono ovviamente sentire e cercano cause, anche le più improbabili, per giustificare quello che non è più un calo ma un crollo. Crollo che neppure gli istituti di sondaggio hanno saputo prevedere in queste proporzioni. Crollo che risponde a un vento nuovo di cambiamento che si sta levando per spazzare anche quanto è stato ritenuto fino a ieri "il nuovo", Grillo e Renzi. Invale una nuova attesa di nuovo, figlia di una sfiducia che minaccia di estendersi dalla politica alle istituzioni, tappa di arrivo di un disconoscimento che sta montando come uno tzunami.
Se non più la politica ma la società non si interroga su questo fenomeno che riguarda se stessa e lascia che sia ancora la politica a trovare le soluzioni per essa e al suo posto, il processo di disgregazione del tessuto elettorale non potrà che accentuarsi fino a conseguenze drammatiche. Generalmente succede che quando una democrazia rinuncia al suo principio attivo, cioè la rappresentatività attraverso l'istituto del mandato elettorale, apre le porte alla dittatura e ai poteri forti.
Se Renzi, come tutti gli altri, fanno spallucce alla diserzione di massa dalle urne e si ritrovano nei talkshow per accusare non più il bel tempo che ha distratto gli italiani ma il cattivo tempo, quello economico del momento, allora non resta che zittirli: così come sta tentando di fare il corpo elettorale, che vuole togliere le leve dalle mani di quanti si comportano come medici che si accaniscono sul malato con farmaci sbagliati pretendendo di avere ragione circa la diagnosi e la terapia. Più che la dimostrazione di mancanza di democrazia, tale abbandono delle urne è una potente forma di affermazione della democrazia. Quando neppure il voto basta più per cambiare le cose, perché le regole del gioco sono sempre imposte da chi gioca, allora è l'abbandono del tavolo da gioco l'unico modo per fare una scelta autonoma: non più cacciando i giocatori ma distruggendo il tavolo. Un'operazione delicata e disperata, è vero. Ma chi ha portato gli italiani a tale disperazione?