sabato 8 novembre 2014

La strada di Verga oggi passa sotto le pale eoliche


Un tratto dell'antica strada. In fondo si intravedono le pale eoliche

Articolo uscito il 3 ottobre 2014 su La Repubblica di Palermo

Il paesaggio di Passaneto e di Passanitello, dove Jeli pascolava l’armento tra Francofonte e Vizzini e Verga vedeva “lande deserte in cui non sorge macchia né arbusto, e ne’ mesi caldi non ci vola un uccello”, è oggi punteggiato di pale eoliche che deturpano un patrimonio letterario sfuggito a ogni interesse.
E seppure il barone Zacco (scappato “più in là di Passaneto, figuratevi! a casa del diavolo”) non si nasconderebbe più dietro una siepe ma troverebbe più sicuro riparo dietro un bianco mulino a vento di cemento (pur ben diverso da quello scuro vicino Vizzini “di là del gomito che faceva lo stradone”), tuttavia l’aspetto di landa non è venuto meno alla grande pianura che corre a unire le sue zolle con quelle della Piana di Catania. Anzi si è di più infoscato. Così peraltro lo videro gli automobilisti quella volta che furono dirottati nell’antica carrozzabile, polverosa e dissestata, per un incidente sulla statale: imprecando in coro senza sapere di aver avuto il privilegio di fare la strada di Verga. 
Lungo questo percorso (che parte da Zia Lisa, raggiunge Primosole, costeggia il Biviere di Lentini, passa da Francofonte e arriva al Calvario sopra Vizzini, per poi serpeggiare per le vie del paese fino a perdersi giù alla Cunzeria e risalire a Tebidi e alla Salonia: un vero e proprio parco abbandonato al tempo) Verga ha lasciato le tracce più insistite e vivide della sua cosmogonia, eternando quelle “rovine sbocconcellate” che in Di là del mare sostituiscono ai “personaggi delle sue leggende” - Cirino, mastro Cola, compare Carmine… - il paesaggio “solenne e immutabile” che però immutato non è rimasto. Sicché se oggi “Ella” di Di là del mare dovesse tornare dal continente, “Lui” non la inviterebbe dallo Stretto ad immaginare soltanto “le chine molli e grigie d’ulivi, le rupi aspre di fichidindia, le alpestri viottole erbose e profumate”, ma anche una fazione di monumentali turbine assise sui rilievi e irte in cielo, a formare un nuovo paesaggio. Da fantasticare prima da un vapore che torna in Sicilia e da guardare poi da un treno che se ne va: il vapore degli arrivederci di belle donne e vagheggini e il treno degli addii che svuota i paesi, le osterie, i maggesi e le strade. 
E’ proprio una di queste strade (che si vede ancora, sulla Catania-Ragusa vicino Vizzini, serpeggiare intersecando la statale) ad offrire la vista dello stesso paesaggio, tolte dal fondo le pale eoliche, che ne aveva Verga: di una “lunga strada polverosa, sotto il cielo fosco dal caldo, nell’ora in cui i campanelli della lettiga suonano tristamente nell’immensa campagna, e i muli lasciano ciondolare il capo e la coda, e il lettighiere canta la sua canzone malinconica per non lasciarsi vincere dal sonno della malaria”. A questo “stradone” si ricongiunge quello sul quale, in Cos’è il re, Cosimo trasporta il re e la regina venuti in Sicilia per annunciare le carrozzabili e mandarlo così in rovina, cacciato dalla mulattiera che oggi a Francofonte è chiamata Via del re. Una strada che è un museo all’aperto lungo cinquanta chilometri. Immaginabile ormai, eppure reale. Come voleva Verga in Di là del mare.
Lasciata la Zia Lisa, porta d’ingresso a Catania, Verga attraversava su una chiatta il Simeto fermandosi ad una stazione di Primosole dove sorgeva un’osteria oltre a una chiesetta della Madonna e dove “quando il fiume era grosso c’erano più di cinquanta vetture che aspettavano”. Sotto gli occhi di Verga, anch’egli in attesa, “passavano carri, passavano vetturali, passava gente a piedi e a cavallo d’ogni paese, e se ne andavano pel mondo, di qua e di là del fiume”.
Il fiume, dopo l’inondazione del 1951, è stato canalizzato ed ha perso l’originario andamento tortuoso, ma anche la sua morfologia. Sicché la stazione di Primosole poteva presumibilmente trovarsi più a monte, dove oggi, a Passo Martino, passa la ferrovia, al cui avvento l’osteria dello zio Antonio cominciò a essere disertata, così come lo stallatico del Biviere di compare Carmine che “ogni volta che da lontano vedeva passare il treno sbuffante nella malaria, non diceva nulla, ma gli sputava contro il fatto suo scrollando il capo, davanti alla tettoia deserta e ai boccali vuoti”. 
La strada giungeva a Valsavoia con le sue “collinette nude” e la gente che vi passava numerosa, oggi deserta come la sua stazioncina “Diramazione Lentini” e meta solo di qualche prostituta nigeriana, finché si arrivava al Biviere, dove si biforcava, com’è nel nome: una strada andava verso “gli aranci sempre verdi di Francofonte”, l’altra proseguiva verso Caltagirone, com’è ancora oggi, tutt’e due ad aggirare il lago, fonte di malaria, “la puddara che sembra navigare in un mare che svapori”.
Era la prima strada quella di Verga, che portava a Francofonte (dove De Roberto vuole che si sia avuto il duello tra compare Alfio e compare Turiddu e in prossimità del quale “si udivano lontano le chiese che scampanavano”), Resecone con i suoi “sugheri grigi”, quindi i “pascoli deserti” di Passaneto e Passanitello fino ad arrivare alle “pendici riarse del Calvario”, al “povero paesello” di Vizzini e alle tenute della Salonia, di Mangialavite, di Marineo e di Tebidi, dal lato di Licodia, dov’erano le terre al sole dello stesso Verga, nato proprio in una casa nei boschi di Tebidi. 
Oggi contrada Passanitello è chiamata Passanetello e sullo sfondo, a guardarsi ovunque attorno, si stagliano titaniche pale eoliche che confidano in un vento proprio la mancanza del quale in estate era nell’Ottocento causa della malaria sotto un’aria stagna e immobile, come la sentiva Verga. La grande pianura riarsa che oggi cerca energia in cielo, ed è spopolata e incolta, un tempo ricavava dalla terra le sue risorse, che dava buoni frutti grazie proprio al lago che dà e piglia come diceva Nanni a compare Carmine vedovo di quattro mogli morte di malaria. L’attraversava lo stradone polveroso dal quale si vedevano spighe altissime a concorrere con le pale di oggi. O forse a preparare il posto.