mercoledì 24 dicembre 2014

Il canone inverso del Natale siciliano


Questo articolo è uscito oggi su La Repubblica di Palermo

In Sicilia il Natale è storicamente una scadenza temuta non meno che una festa attesa. E’ a Natale che il pizzo richiede “la messa a posto” ed è per Natale che vengono fissati gli impegni economici, le decisioni e gli eventi più importanti. Ne La Lupa di Verga, alla gnà Pina che gli elenca la dote di Maricchia, Nanni dice che “se è così se ne può parlare a Natale”. E fa come “Scurpiddu” di Capuana, che aspetta Natale per guadagnare dieci lire da due pollastroni in vendita, come don Paolo Drago dello stesso Capuana, che rimanda al successivo Natale il pensiero del testamento, e come comare Barbara Zuppidda, che a ‘Ntoni annuncia che la Provvidenza potrà metterla in mare per la vigilia. 
E se Piedipapera suggerisce a padron ‘Ntoni di pagare i lupini sotto Natale “invece che a tanto al mese”, zio Crocifisso infine impreca: “Il Natale eccolo qua, ma i Malavoglia ancora non li ho visti”. Piuttosto, proprio alla vigilia, è l’usciere del tribunale che si vede davanti alla casa del nespolo con un foglio di carta bollata che lascia “sul cantarano accanto alla statua del Buon Pastore”, dando così ai Malavoglia un “brutto Natale”: aggravato per giunta dal fatto che anche Luca prende “il suo numero alla leva” e va via da Trezza.
La festa più augurale dell’anno può dunque rivelarsi l’appuntamento più funesto, dinamica connaturata alla cultura siciliana che in materia religiosa, echeggiando Sciascia, sottende il rovesciamento della morale cristiana. Il rivolgimento dell’aspetto apollineo del Natale nel suo contrario dionisiaco lo denuncia soprattutto il Verismo di Verga e Capuana. Compare Cosimo di Vagabondaggio, proprio nel “giorno segnalato”, riceve tutto contento la notizia che la moglie sta per partorire, ma quando va per attaccare i muli un baio lo azzoppa e lo lascia mezzo morto, facendogli sospirare quasi in una bestemmia: “La bella vigilia che mi mandò Domineddio!”. Uguale è il risentimento di don Paolo Drago, che è andato alla messa di mezzanotte e si è preso un malanno per il freddo, per cui si duole col medico non trovando giusto che il Signore voglia farlo morire, mentre più incrudelito appare don Peppantonio che ingaggia con il canonico una polemica davanti al presepe ritenendo Gesù più fortunato di lui avendo avuto quanto meno un bue e un asinello a riscaldarlo. 
E’ Capuana più disincantato. In Dramma segreto immagina che, la notte di Natale in casa Forcelli, Diego Mutti stia per ricevere dalla signora il regalo che lo attende sull’albero addobbato quando il marito, a conoscenza della tresca, glielo strappa di mano e ottiene il suo impegno a suicidarsi entro quindici giorni. Ma è Verga più amaro. In Storia di una capinera tiene la sua monachella malata in cella facendole sentire gli invitati che festeggiano in convento “quella bella festa che fa passare una notte di canti e allegrezza” e lasciando che si auguri di addormentarsi per non ascoltare. E in Il carnevale fallo con chi vuoi, Pasqua e Natale falli con i tuoi, Verga accentua il lato distopico del Natale provocando a compare Menico il dolore di tornare felice a casa e scoprire che la moglie se n’è andata con un altro.
Non meno dissacrante, pervaso da un tono moralistico, è Luigi Pirandello che nella novella Un goj propone un fanatico cattolico che durante la Seconda guerra mondiale allestisce uno splendido presepe i cui pastorelli vengono a sua insaputa sostituiti da soldatini di stagno e da elementi sugli orrori della realtà e l’ipocrisia dei credenti. In un’altra novella, Sogno di Natale, Pirandello si vede in compagnia di Gesù che la notte della sua natività, origlia dietro le case e, osservando pallido e furtivo la gente fare festa, gli confida: “Sono morto per questo mondo che pure ha il coraggio di festeggiare anche la notte della mia nascita”. Una visione questa che rimbalza in Salvatore Quasimodo la cui poesia Natale così conclude: “C’è chi ascolta il pianto del bambino che morirà poi in croce tra due ladri!”.
Il ribaltamento nella coscienza letteraria siciliana del sentimento del Natale integra anche una causa di tipo climatico. In Natale sul Reno ancora Pirandello si chiede “chissà quanto contribuiscono il freddo intenso, la nebbia, la neve e il vento a rendere la festa del Natale in questi paesi più raccolta e profonda che da noi”. La sua supposizione è che in Sicilia l’equazione inverno uguale Natale regga a fatica. Ma in Il fu Mattia Pascal proprio Pirandello fa dire così all’io narrante, quasi in ritrattazione: “L’inverno mi ispirava la prossima festa di Natale, che fa desiderare il tepore d’un cantuccio caro, il raccoglimento, l’intimità della casa”. Senonché Federico De Roberto in Ermanno Raeli ricompone l’antitesi riferendosi alla Conca d’oro: “Era già arrivata la novena di Natale e il tempo si manteneva di una serenità e d’una mitezza primaverile”. De Roberto se ne dà una ragione sulla base di un “uso tradizionale” che, dove l’inverno è una continua primavera, intende ricostruire intorno al Salvatore “l’ostilità degli elementi in mezzo ai quali egli venne al mondo”. 
Ma tale ostilità sembra per Leonardo Sciascia più che altro di natura sociale. In Le parrocchie di Regalpetra riferisce di un suo scolaro che a Natale vince duecento lire che suo padre gli strappa e spende per conto suo: “Il giorno della grande festa cristiana pare diventi dietro questo bambino che piange nella sua casa oscura una blasfema parodia”.
Senonché Elio Vittorini ha tutt’altra considerazione del Natale, quanto meno corretta in funzione del suo ideale rivoluzionario. Rispondendo, all’indomani della caduta del fascismo, a un lettore che gli chiede perché mai “Il Politecnico” debba celebrare il Natale, scrive infatti che nel Natale egli vede il simbolo della rivoluzione insita nel cristianesimo, sul presupposto che è l’unico giorno dell’anno che gli uomini di buona volontà hanno in comune con quelli di cattiva volontà. Tuttavia, ambientando proprio la sera di Natale il suo racconto omonimo, Vitaliano Brancati inscena un cenone al quale sono presenti anche ex gerarchi fascisti, che si sorridono per averla scampata ed essersi riciclati, continuando così a riconoscersi uomini di cattiva volontà.
E un’altra considerazione ha Andrea Camilleri: particolarmente dei regali di Natale sotto l’albero. In Racconti quotidiani rimpiange la Festa dei morti, quella tradizionalmente deputata in Sicilia a fare felici i bambini del suo tempo. Con l’avvento dell’albero, i morti hanno perso la strada di casa.