mercoledì 21 gennaio 2015

Signori si diventa ed è un guaio

Una scena del film "Signori si nasce"
In un’intervista Umberto Eco dice che dare del signore è il più grave insulto che si possa rivolgere a una persona. Il giudice Giovanni Falcone la pensava allo stesso modo.

In Cose di Cosa nostra scriveva così: “L’appellativo Signore usato da un mafioso non ha nulla a che vedere con il Monsieur francese, il Sir britannico o il Mister americano. Significa semplicemente che l’interlocutore non ha diritto ad alcun titolo, altrimenti verrebbe chiamato Zio o Don, se è un personaggio importante nell’organizzazione, oppure Dottore, Commendatore, Ingegnere e così via. Durante il primo maxiprocesso di Palermo nel 1986, il pentito Salvatore Contorno, per esprimere il suo assoluto disprezzo nei confronti di Michele Greco, considerato capo della mafia ma che ai suoi occhi non era nessuno, si esprimeva in questi termini: 'Il signor Michele Greco…’. Ricordo che una volta – ero andato in Germania a interrogare un capo mafioso – mi accadde di essere apostrofato: ‘Signor Falcone…’. Allora toccò a me offendermi. Mi alzai e ribattei: ‘No, un momento, lei è il signor taldeitali, io sono il giudice Falcone’. Il mio messaggio raggiunse il bersaglio e il boss mi porse le sue scuse. Sapeva fin troppo bene perché rifiutavo il titolo di Signore, che, in quanto non riconosceva il mio ruolo, mi riduceva a uno zero”.
Strana vicenda quella di un appellativo che nella sua accezione etimologica sottende una dichiarazione di asservimento e sottomissione uguale semanticamente all’interiezione “ciao” ma che nel tempo ha finito per integrare un’idea di svilimento della dignità della persona con cui non si sia in confidenza: ma solo nella forma sincopata di signor perché nella dizione intera l’appellativo di signore rimane un atto di rispetto, peraltro molto elegante. Ma anche tronca, la parola assume tuttavia il senso di un riconoscimento di stato se seguita da un titolo quale “signor prefetto” o “signor colonnello” e così via. Eppure simile svolgimento non è stato però oggetto di un attributo di dignità che può essere visto come l’antecedente storico di signore e cioè messere. Anche la formula messer postula infatti un significato riverenziale.
Quando dunque precede un nome proprio di persona, unicamente di genere maschile non ricorrendo mai nella pronuncia al femminile, la parola signor si carica di un significato spregiativo. Perché? Intanto conta il fatto che si tratta di un appellativo proclitico, il più delle volte coniugandosi con il nome che lo segue, giacché se si accompagna a un pronome, come nel caso dell’espressione “signor mio”, assume un significato più che altro scherzoso, mentre se si fonde con un’affermazione o una negazione (signorsì, signorno) oppure con una qualifica (signor questore) diventa un atto marziale e ufficiale. Ma la ragione più incisiva circa le bizzarre sorti del vocativo signor trova fondamento nell’uso comune invalso intorno agli anni Sessanta, a distanza di una cinquantina d’anni dalla progressiva caduta in disuso delle forme nobiliari di rispetto nella cui gerarchia il titolo di signore occupava il penultimo posto, seguito solo da patrizio. Rimasto in forma tronca e non in posizione proclitica, dare del signor a una persona ha via via comportato una considerazione di uomo medio, quindi mediocre. Peraltro negli anni Sessanta diventa famoso un personaggio, frutto della matita del fumettista Bruno Bozzetto, il cui nome assurge a titolo sociale: il “signor Rossi” è l’italiano medio che dopo poco tempo diventa sinonimo anche di “signor Nessuno” e che oggi evoca l’idea di uomo comune, appartenente alla massa, quisque de populo.
Dato il carattere negativo dell’appellativo signor, al suo posto è invalso l’uso di dare del dottor a chi si intenda onorare con un attestato di rispetto. Oggi è chiamato dottore anche chi non ha una laurea, ma non per intestargliene una quanto per manifestargli quella deferenza che la parola signor non ha più. E’ un reato l’usurpazione di titolo, è vero, almeno lo è oggi, ma a commetterlo non è chi viene chiamato col suo cognome preceduto dall’appellativo dottor, quanto chi si rivolge a chi laureato non è chiamandolo dottor. Senonché nelle reali intenzioni dell’ossequiante il titolo di dottor è solo l’equivalente di illustre o esimio, epiteti a usare i quali si rischia però di passare per canzonatori.
La conseguenza dell’inflazione del titolo di dottor (abbreviato per iscritto in dr.) è stata l’estensione degli effetti alla forma completa di dottore. Di conseguenza, nell’ambito di quanti in origine erano definiti dottori, cioè i soli medici, tutti gli altri venendo indicati con la specificazione della laurea (dottore in Legge), è cresciuto l’uso di distinguersi, anche nel caso di una semplice specializzazione, con l’appellativo di professori, ancorché tale sia soltanto chi detenga una cattedra in una università e non chi sia più bravo e più costoso oppure faccia il primario in un ospedale. Ma non sentendocela nella vita comune di chiamare soltanto “dottore” un luminare della medicina perché così lo ridurremmo alla stregua di tutti gli altri che luminari non sono, lo chiamiamo perciò “professore”.
Un fenomeno di questo tipo, inteso a mantenere le distinzioni onorifiche e quindi le differenze di classe, si ebbe in maniera paradossale a Bisanzio, dove per il sempre più frequente conferimento del titolo di clarissimus, i vecchi clarissimi divennero spectabiles, gli antichi spectabiles divennero illustres e per gli antichi illustres fu necessario coniare un nuovo appellativo, quello di gloriosi, così equiparandoli praticamente ai santi se non addirittura agli angeli.
La caduta in disgrazia del vocativo signor sta innescando effetti collaterali a catena che prima o poi costringeranno il legislatore a intervenire, forse per derubricare il reato di usurpazione e lasciare che gli appellativi siano usati secondo la stima che si abbia di una persona. Sempreché non torni in uso la bellissima forma signor nei modi in cui se ne servono i francesi e gli inglesi. Per i quali presentarsi come signori è più commendevole che fare pesare un titolo, quello di dottore, che fino all’Ottocento era visto nei palazzi aristocratici come volgare, proprio degli amministrativi e dei funzionari. Oggi può valere invece come forma di intimidazione, tale da far pesare un potere. Molti impiegati delle agenzie di recupero, fra i tanti altri, si presentano come dottori lasciando intendere che sono prossimi agli avvocati e mettendo così in soggezione il debitore moroso. A chi si presenti come dottore o dottor Tizio, la migliore risposta è una domanda: “Scusi, non è dunque un signore?”.