Articolo pubblicato il 21 maggio 2015 su Repubblica Palermo
Da L’ombrello di Noè a Il quadro delle meraviglie, di metafora in metafora, o da un titolo a un altro, si compie l’illusion comique che per Andrea Camilleri definisce cos’è il teatro, un viaggio la cui destinazione è nota solo agli attori (ma non sempre) e mai al pubblico. L’illusion comique circonfonde il teatro, ma anche la musica, la radio, la televisione, il cinema e quanto ancora sia in collisione con la realtà senza però essere invenzione letteraria, cioè opera interamente individuale. E’ allora anche un cervantino “retablo de las maravillas”, un quadro magico nel quale scorrono scene visibili solo a chi non è ebreo e a chi ha avuto genitori certi, immagini che ovviamente tutto il pubblico vede ma che in effetti non esistono.
Proprio la presenza di un pubblico connota perciò quella che Corneille chiamò appunto l’illusion comique: espressione adottata da Camilleri per indicare il senso del teatro nel teatro dove lo spettatore conta più del regista e che serve a noi per distinguere i tanti Camilleri quantomeno in due secondo che lo si consideri prima o dopo Montalbano. Quello antecedente appartiene interamente alla sfera teatrale dell’illusion comique nella quale non sono comprese solo le oltre 250 regie ma anche gli sceneggiati per la televisione, i film per il cinema, le trasposizioni e le riduzioni per la radio fino alle partecipazioni ad opere liriche: un vasto repertorio dal quale Roberto Scarpa (autore de L’ombrello di Noè e Le parole raccontate oltre che prefatore di Il quadro delle meraviglie: i tre libri che danno conto del Camilleri extra-letterario o meglio ante-letterario) ritiene che derivi lo scrittore di successo dopo l’affermazione di Montalbano nel 1994.
La teoria secondo cui lo scrittore deve tutto all’uomo di spettacolo che lo ha preceduto ed educato integra la testimonianza dello stesso Camilleri che dice di essere passato deliberatamente da un mondo a un altro dopo la decisione di sostituire lo scrittoio al palco per sopravvenuti limiti di stanchezza, perché scrivere è meno faticoso che dirigere.
Ma se sappiamo pressoché tutto del secondo Camilleri, ci è in parte sconosciuto il primo, del quale nulla avremmo saputo se fosse mancato il lavoro di Scarpa. Adesso Annalisa Gariglio, la curatrice di Il quadro delle meraviglie (Sellerio,pp. 370, euro 18) è stata ammessa in uno speciale archivio camilleriano tra copioni, sceneggiature, radiodrammi, adattamenti, soggetti e quant’altro non fa produzione libraria e, per lei innanzitutto, è stato come superare uno specchio e trovarsi appunto in un quadro delle meraviglie, davanti a un’attività variegata e sterminata, adesso finalmente messa in ordine e resa nota.
Scopriamo così un Camilleri che per decenni non ha fatto che il rabdomante cercando polle nuove nei terreni più impensati, instancabile, curioso, temerario: tale da costringerci a retrodatare abbondantemente una vocazione sperimentalista che abbiamo vista attiva e prorompente nella sola ricerca letteraria e che invece è stata sin dall’inizio altrettanto ricca e geniale. Tale fu la messinscena de Il vitalizio di Pirandello nel quartiere agrigentino dove la novella era ambientata, ancorché semidistrutto da una frana, o anche la rappresentazione in dialetto di Troppu trafficu pi nenti in un quartiere popolare di Catania, o ancora l’Edipo re recitato sulla base di sette parole, presente addirittura un medico in sala. In radio, senza mai firmare come autore per complessi problemi contrattuali con la Rai, Camilleri introdusse il format delle interviste per strada con Outis topos, programma davvero utopico, come fu Il sogno di Freud, dove la gente veniva invitata a raccontare i sogni fatti, e inventò una trasmissione, Ma io non lo sapevo, che ribaltando il principio “ignorantia legis non excusat”, portava al microfono casi processuali che finivano per essere oggetto di dispute dottrinarie. Sempre in radio Camilleri arrivò addirittura a concepire un programma dove la bella Italia era presentata ai turisti attraverso un concerto dal vero di autentici colpi di tosse registrati alla Scala di Milano o il suono delle monetine gettate nella Fontana di Trevi.
Un autentico gioco di prestigio si rivelò poi quanto Camilleri fece per la televisione dove, da un racconto di cinque pagine di Sciascia, Western di cose nostre, ricavò due puntate aggiungendo spunti senza tradire il testo, ottenendo così il plauso ammirato dello stesso Sciascia. Ci sono anche state sceneggiature rimaste sulla carta. Una, Più fucili che pane, si arenò perché il premier Craxi volle che prima che venisse esaltato un generale borbonico fosse magnificato Garibaldi, operazione che non avvenne. Ma oggi, divenuto Camilleri un’autorità indiscussa, il suo archivio potrebbe essere convertito in un’officina di sceneggiati che godono di assoluta freschezza.