domenica 30 ottobre 2016

Spampinato, come la Rai maschera la verità


Per il secondo anno consecutivo, in coincidenza con l’anniversario del delitto Spampinato, Rai Storia ha trasmesso la sera del 27 ottobre un documentario che nulla ha aggiunto né alla conoscenza dei fatti né alla retorica imbastita sul personaggio. Continuano a perpetuarsi ogni anno sempre gli stessi stereotipi e a ripetersi gli stessi errori. In questa ultima occasione il canale tematico della Rai si è affidato pienamente ad Alberto Spampinato, il fratello di Giovanni Spampinato la cui fidanzata egli sposò dopo il delitto e che ha fatto il giornalista anch’egli. La tesi che continua ad essere rivangata è quella dell’eroe solitario, martire dell’impegno civile e vittima del silenzio dell’altra stampa, quella conformista e ufficiale che nulla avrebbe scritto delle accuse che il solo Spampinato avrebbe rivolto a Roberto Campria, il suo uccisore, indicandolo apertamente come l’assassino di Angelo Tumino. Continuano poi ad essere reiterate accuse alla Procura, e in particolare all’allora sostituto Agostino Fera, per avere insabbiato l’inchiesta Tumino e rinunciato a risalire al “vero responsabile”, e si insiste nel magnificare l’atteggiamento del Pci che appare come il solo apparato ad essere stato vicino a Spampinato.
Purtroppo, sepolto ogni proposito di riaprire l’inchiesta sul delitto Tumino, come pure è stato chiesto, le ricerche storiche non riescono a fare un solo passo e rimestano teorie che avrebbero dovuto essere abbandonate da tempo. Il programma Rai ispirato da Alberto Spampinato (che ha fatto da regista e da protagonista facendosi riprendere di spalle mentre percorre chilometri di strade ragusane) ha inteso celebrare il giornalista ucciso senza compiere alcuno sforzo per penetrare il mistero che è alla base del suo assassinio e cioè il caso Tumino. Lasciando al fratello della vittima l’iniziativa, la Rai ha indugiato ancora una volta sugli stessi temi e sentito le stesse persone, senza accogliere una sola voce dissonante.
Fra i “testimoni” d’eccellenza è stato sentito ancora Luciano Mirone, autore di un libro sulle vittime siciliane della mafia fra le quali ha fatto finire pure Spampinato commettendo così la più grossolana stortura che a danno di Spampinato potesse essere consumata. Lo “scrittore” etneo si è costruito una sua tesi che è il migliore repertorio di superficialità, approssimazione e azzardo che sia mai stato cucito sulla vicenda. Ma non è il solo. Un altro scrittore, Carlo Ruta, pozzallese e certamente di statura ben superiore, si è avventurato nella teoria che porta da un lato alla mafia e da un altro alle piste nere, come se potessero essere complementari, aggiungendo confusione a confusione. Anche Ruta figura tra gli interpreti fissi della rappresentazione insieme con Alberto Spampinato e Franco Nicastro, senz’altro il più equilibrato e meno azzardato.
La verità è che dopo 44 anni si è fermi praticamente al punto di partenza. Non si sa chi uccise Tumino. Non si sa perché Campria uccise Spampinato. Non si sa cosa Spampinato sapesse esattamente sul delitto Tumino e quali prove avesse per accusare Campria. Non si conoscono numerosi passaggi della vicenda. Non si conoscono i reali rapporti tra Campria e Tumino. Non si sa niente dell’importanza della fidanzata di Campria e del suo ruolo. Si continua, peraltro con lo stucchevole piglio che si tratti di elementi determinanti, a parlare di trame nere, contrabbando di opere d’arte, insorgenze fasciste a Ragusa, intorbidamenti politici, tralasciando aspetti che più da vicino riguardano il caso. Il programma Rai andato in replica, intitolato con una trovata “Il rumore delle parole”, così come il docu-film prodotto nel 2012 a Ragusa e la drammatizzazione inscenata lo stesso anno a Donnafugata, insiste sulla doppia pista politico-mafiosa, la migliore per dare una veste di eroe e di martire a Spampinato e nobilitare il Pci.
A stare al documentario Rai, esemplare per testardaggine e contraddizioni, il delitto Spampinato matura, anzi esplode, al culmine dei contrasti di riflesso nazionale successivi al Sessantotto, in una terra che si scopre l’Eldorado del petrolio e che per questo, risospinta al livello delle grandi città, vive gli anni della tensione e dell’insorgenza terroristica quasi a braccetto con i maggiori teatri continentali ed europei. Praticamente una mistificazione, perché negli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta Ragusa era una cittadina di provincia estrema del tutto addormentata da dove lo stesso Giovanni Spampinato spasimava di potere andare via e implorava un’amica di Paese sera di aiutarlo a scappare, proprio perché non vedeva alcun sussulto politico attorno a sé. Intendeva il giornalismo non come professione, ma come scuola di formazione perché la sua vera natura era quella del politico. Pressava Campria perché confessasse di avere ucciso Tumino non per fare uno scoop ma per mettere a nudo la condizione di un rappresentante della classe al potere, da punire perché fosse affermato uno stato della società iblea da riscattare e revolvere.
Se si confrontano i suoi testi di cronaca con quelli di riflessione politica apparsi sul periodico ragusano del Pci si nota come sia incolmabile la distanza tra il giornalista e il teorico, dove il primo è acerbo, inesperto, strumentale, mentre il secondo appare maturo, arguto, propositivo. Non a caso Spampinato era iscritto in Filosofia: gli serviva per militare nel Pci non come attivista ma come ideologo impegnato anche contro le trame nere. Nell'ambito delle quali, si impegnò a fondo come giornalista per scoprire il retroterra dell’omicidio Tumino in quanto coinvolgeva il rampollo della casta borghese al potere contro cui in realtà, da comunista, si lanciò con furore fino a morire.
La sua battaglia non era condotta nel nome di un ideale di giustizia ma nel segno di un primato delle ragioni del proletariato in lotta, sicché in Roberto Campria vedeva la personificazione di quella società che faceva da terreno di coltura al neofascismo e spadroneggiava a danno dei lavoratori: ancor più a Ragusa, dove i conflitti di classe erano molto più accesi per le troppe sacche di diseguaglianza sociale, non diversamente dal tempo in cui Maria Occhipinti aveva individuato a Ragusa due classi in lotta fra loro, artigiani e contadini, all’interno della più vasta classe proletaria.
Spampinato cercò dapprima di trovare spazio nei quotidiani come La Sicilia e Il Giornale di Sicilia che, a dire del Pci, lo avrebbero lasciato solo. Poi trovò, non ancora giornalista iscritto all’Albo, una corrispondenza con il quotidiano palermitano del pomeriggio L’Ora, che a Ragusa non leggeva nessuno non fosse altro perché arrivava alla chiusura delle edicole - quando arrivava. Questa circostanza è riportata quasi sotto voce dal documentario Rai salvo poi annettere agli articoli di Spampinato un effetto dirompente, tale da turbare Campria al punto da armargli la mano. Ma Campria non rinfaccia mai a Spampinato i suoi articoli. Nella conferenza stampa che convoca il 2 agosto, alla domanda di Spampinato perché ha atteso tanto tempo prima di dare spiegazioni sul caso, Campria risponde di non aver dato importanza alcuna alle voci sul suo nome e di essersi reso conto che a Ragusa era sulla bocca di tutti appena rientrato da un viaggio già da prima dell’unico articolo fino a quel momento scritto da Spampinato.
Tanto minimamente, se non per nulla, contribuisce Spampinato ad addensare sospetti su Campria che gli stessi genitori di Roberto vengono a sapere dei suoi articoli solo il 22 settembre grazie a un funzionario di polizia che mostra loro il giornale palermitano e che riferirà al magistrato di aver colto nei due coniugi un sincero moto di sorpresa. Il presidente del Tribunale e la moglie si rivolgono alla polizia perché sia messo sotto controllo il telefono di casa Cavalieri, da dove ritengono che partano le telefonate di minaccia all’indirizzo del figlio, sotto tiro perché sospettato appunto dalla voce popolare del delitto Tumino.
Se il 22 settembre (dopo più di un mese da quando Spampinato ha pubblicato l’ultimo dei suoi articoli sul caso Tumino) i genitori di Roberto non sanno niente delle notizie apparse negli ultimi sette mesi su L’Ora è segno che Roberto non ne ha mai parlato in casa ed è quindi logico supporre che non vi abbia dato davvero peso alcuno. Tutto questo il documentario Rai lo ignora bellamente. Anziché cercare la verità, si è addetto a mascherarla di più, preoccupandosi solo di rialbeggiare la grandezza di Spampinato.