sabato 15 luglio 2017

Il monumento fascista che imbarazzò Siracusa

Il Monumento al legionario
Furono per Siracusa anni difficili quelli che seguirono la caduta del fascismo. Si trattava di trovare una collocazione al monumento opera di Romano Romanelli, avuto in dono dalla Regione siciliana cui lo aveva mollato nel ‘52 il governo.
Siracusa veniva premiata con un complesso marmoreo del valore di 26 milioni di lire del tempo e del peso di 270 tonnellate per essere stata durante la campagna di Etiopia la città dal cui porto erano salpate le navi imperiali. 
Lo spirito era tirtaico, tanto che proprio nel ‘52 il Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani (responsabile di pesanti violenze e abusi sia in Libia che in Etiopia) tenne poco prima della morte in Piazza Duomo un comizio per il Movimento sociale italiano a fianco di Gino Foti, che col tempo, attraversando l’arco costituzionale, sarebbe approdato al Pd. Ma Siracusa gradì di cattivo grado il dono, perché passare ancora come una città fascista in tempo di democrazia deponeva sfavorevolmente, dal momento che i copiosi finanziamenti statali del Ventennio riservati alla città elogiata dal Duce come “capitale coloniale” erano cessati. Non si trattava solo di trovare un posto, ma anche di defasticizzare il monumento e dargli un altro nome. Fu nominata una commissione comunale di studiosi nella quale vennero chiamati anche insegnanti di filosofia e occorsero una decina d’anni prima di arrivare alla denominazione finale. 
Come nel romanzo di Camilleri La targa in cui circolo e Consiglio comunale si trovano in angustie nel tentativo di trovare un’epigrafe adeguata da incidere sulla targa in memoria di un ex gerarca che via via si rivela un assassino, così le autorità comunali aretusee finiscono nelle peste cercando il nome adatto all’ingombrante monumento. 
Dall’iniziale “Cappella votiva in memoria del soldato italiano caduto in Etiopia” si passò a un più generale “Monumento alla conquista dell’Impero” e quindi a un più semplice “Monumento al legionario in Africa orientale” e successivamente a un più generico e meno fascistico “Monumento al soldato caduto in Africa” fino ad arrivare al titolo meno militarizzato ma più confusionario di “Monumento al soldato e al lavoratore italiano caduti in Africa”. Oggi il complesso è per tutti il “Monumento dei caduti in Africa”.
Questioni non da poco sorsero anche per quanto riguarda la collocazione. dapprima si pensò a Largo Aretusa, poi alla balza sopra il Teatro greco, quindi alla Marina e infine al Foro siracusano. Ma non fu trovato un accordo, finché la commissione non decise di convocare Romanelli perché fosse lui a decidere. Lo scultore arrivò nel 1960, visitò i luoghi proposti e anche altri. Quando vide piazza dei Cappuccini non ebbe dubbi. Più che la piazza, guardò il mare e chissà che in lontananza non vide un’altra piazza, al centro di Addis Abeba dove il monumento era destinato perché sostituisse quello di Menelik II, imperatore di Etiopia. Il comitato di soloni fu d’accordo e il monumento fu portato, pezzo per pezzo, dal giardino di un istituto geriatrico dove era stato cosparso e in parte distrutto alla sommità dell’acrocoro di fronte al mare. 
Nessuno si rese conto, allora e dopo, che l’opera di defascistizzazione fu vanificata perché Romanelli volle che la prua del complesso immaginato come una nave fosse rivolta verso l’Africa orientale. Così ottenne di restituirle il suo spirito originario. Ma anche lui venne in qualche modo tradito, giacché non fu esattamente la sua opera a venire installata. Il motore di aereo a stella che sormonta la sagoma della nave e che sostiene un crocifisso copro fu abbondantemente ridotto nel proposito di ridimensionare l’appariscenza fascista mentre la statua di uno squadrista fu sostituita da quella di un lavoratore col piccone. Romanelli si rifiutò di realizzarla e indicò uno scultore di Palermo, Giovanni Rosone.
Il complesso fu ricostruito dopo un costoso restauro per via dei danni subiti negli anni in cui era stato depositato all’aperto e alla mercé di chiunque. Venne in particolare distrutto il rivestimento di marmo chiampo, che dovette essere commissionato alla ditta lombarda che lo aveva fornito negli anni Trenta. Curiosamente il quotidiano La Sicilia attribuì i danni ai bombardamenti alleati imperversati nel 1943 su Siracusa, città strategica non solo per il suo porto ma anche per l’elisuperficie dalla quale volavano anche idrovolanti per il Corno d’Africa, ignorando però che il complesso di Romanelli solo dieci anni dopo sarebbe stato trasportato a Siracusa su sedici vagoni-treno. In realtà il monumento non ha mai goduto di grande fama né di attenzione. Tollerato più che accettato, è anche oggi una specie di cenerentola del patrimonio architettonico siracusano. Tanto è sconosciuto che la sua cappella interna, lunga quindici metri e intonacata di rosso pompeiano, inaccessibile al pubblico, conserva una statua in marmo di Carrara del Romanelli che raffigura un soldato morente che nessuno ha visto.
Dell’opera si è a fondo occupato il ricercatore siracusano Marco Goracci che ha raccolto un’ingente mole di materiale documentaristico ai fini di una pubblicazione. Goracci ha scoperto che Romanelli fu ricompensato dal governo con la concessione di un vasto territorio coltivato a banane nel Basso Giuba in Somalia. Divenne perciò un “signore delle banane”, come lo battezzò lo storico Angelo Del Boca, che ha svelato tutta la violenza legata alla presenza italiana in Africa. Parte dell’anno lo scultore soggiornava in Africa con la moglie britannica Dorothea Hayter, di discendenza reale, per seguire la sua piantagione. Nel 1965 la Hayter fu assassinata in circostanze misteriose da ignoti indigeni. La tragedia fu una delle cause della morte di Romanelli, avvenuta nel 1968, e Giovanni Spadolini ne scrisse in un articolo prospettando ipotesi inquietanti dai risvolti che ricordano la vicenda di Ilaria Alpi. 
L’opera di defascistizzazione del complesso di impronta futurista la sta compiendo la salsedine che col tempo sta corrodendo le statue bronzee e ammalorando il marmo. Al resto ci sta pensando l’incuria in cui il monumento è tenuto. Se non se ne facesse una questione ideologica e si pensasse ai soli aspetti estetici e artistici, l’opera guadagnerebbe anche un valore turistico.