lunedì 7 gennaio 2019

Borrometi: io, la mia vita e la mafia



Giungendo da Racalmuto alle porte di Vittoria, Sciascia scriveva di avere l’impressione di «valicare un confine», di arrivare all’«argine contro cui si spengono, non senza qualche impennata, le ondate mafiose». Era appunto un’impressione, accreditata dall’epiteto di “Sicilia babba” che il Ragusano s’era visto attribuire.
Il giornalista di Tv2000 Paolo Borrometi (modicano della diaspora coatta, perché costretto già da tempo a lasciare la Sicilia e da cinque anni sotto scorta), cresciuto entro quel confine di ufficiale convivenza pacifica, ha avuto modo di scoprire sulla propria pelle che le ondate mafiose avevano da tempo rotto l’argine e ingannato persino Sciascia: ma senza impennate, infiltrandosi piuttosto senza rumore, perché gli Iblei dovevano essere il buen retiro dei boss, l’eldorado per affari puliti e la zona più sicura dove nascondere latitanti.
Sottotitolando il suo libro Un morto ogni tanto (Solferino, pp. 272, euro 16) “La mia battaglia contro la mafia invisibile”, Borrometi ha inteso echeggiare Sciascia dando contenuto alla sua impressione: ma antifrasticamente, volendo in realtà dimostrare che il velo di invisibilità non è che una maschera e che l’impressione si è mutata in una certezza storica e giudiziaria. Nominato da Mattarella cavaliere della Repubblica, Borrometi (figlio dell’ex assessore regionale democristiano che è stato anche parlamentare) si è deciso a raccontare la sua vicenda – e ora gira l’Italia per ripeterla nelle scuole – dopo che il suo nome è stato fatto da boss che, in una telefonata intercettata, discutevano circa l’opportunità di eliminarlo in base alla teoria per cui «ogni tantu un murticeddu ci voli, così si danno ‘na calmata tutti ‘sti malati di mafia».
Era chiaro che fosse in preparazione un attentato esplosivo alla maniera degli anni Novanta, da affidare alla mafia catanese, perché venisse creato un argine – stavolta al contrario – all’incalzare di una coscienza antimafia di cui Borrometi è visto come un paladino e che evidentemente Cosa nostra ritiene crescente e dunque nociva. Nel suo libro Borrometi dà conto della propria terribile storia, ma nello stesso tempo continua a fare il giornalista d’inchiesta fornendo elementi sorprendenti anche sugli ultimi sviluppi dell’insorgenza mafiosa.

Articolo uscito su La Repubblica-Palermo il 6 gennaio 2019