Articolo uscito su Repubblica-Palermo il 10 dicembre 2019
I dati Istat sulla Sicilia cenerentola della cultura riflettono una realtà che se è scientificamente documentata, considerata la serietà della fonte, non lo è più se si cambia prospettiva. Non vale l’equazione per cui, mancando la materia prima, come la Germania è l’ultimo Paese in fatto di produzione di banane, la Sicilia è al fondo di quella culturale.
Eppure autorevoli voci è questo che intendono, additando nella mancanza di una industria culturale la povertà di consumo culturale in Sicilia, secondo l’equivalenza per cui più si dà e più si ha, tale che aumentando le strutture culturali o gli eventi possa crescere la partecipazione. Se fosse così semplice e consequenziale, la cultura sarebbe solo una questione di ricchezza, frutto di investimenti finanziari, per cui le regioni opulente ne deterrebbero il primato esclusivo. A stare a queste logiche di pensiero, varrebbe dunque lo stesso modello che opera nello sport e nello spettacolo, dove grandi squadre di calcio e grandi show come quelli alla Scala non sarebbero possibili in aree del Paese prive di grandi risorse economiche. La cultura risponde invece ad altre ragioni che difficilmente un rilevamento statistico può mai stabilire, dacché si può ben trovare in zone economicamente del tutto svantaggiate. Basti un interrogativo dirimente dal quale muovere: se la Sicilia è ultima in campo culturale, come si spiega allora che risulta prima per numero di artisti e di creativi? Nella moda, nel cinema, nelle arti, nel giornalismo, nella letteratura e in ogni forma di sapere non mancano infatti siciliani di assoluta qualità che non si distinguano oggi come ieri, anche in ambito internazionale, al pari di altri siciliani che primeggiano nella scienza e nello sport, da Luca Parmitano a Giorgio Avola. Si oppone che un conto è la fornitura e un altro la fruizione, quella che manca. Avremmo quindi un’economia culturale che crea un prodotto che esporta in quantità e qualità apprezzatissime del quale però non fa che scarso consumo.
Eppure autorevoli voci è questo che intendono, additando nella mancanza di una industria culturale la povertà di consumo culturale in Sicilia, secondo l’equivalenza per cui più si dà e più si ha, tale che aumentando le strutture culturali o gli eventi possa crescere la partecipazione. Se fosse così semplice e consequenziale, la cultura sarebbe solo una questione di ricchezza, frutto di investimenti finanziari, per cui le regioni opulente ne deterrebbero il primato esclusivo. A stare a queste logiche di pensiero, varrebbe dunque lo stesso modello che opera nello sport e nello spettacolo, dove grandi squadre di calcio e grandi show come quelli alla Scala non sarebbero possibili in aree del Paese prive di grandi risorse economiche. La cultura risponde invece ad altre ragioni che difficilmente un rilevamento statistico può mai stabilire, dacché si può ben trovare in zone economicamente del tutto svantaggiate. Basti un interrogativo dirimente dal quale muovere: se la Sicilia è ultima in campo culturale, come si spiega allora che risulta prima per numero di artisti e di creativi? Nella moda, nel cinema, nelle arti, nel giornalismo, nella letteratura e in ogni forma di sapere non mancano infatti siciliani di assoluta qualità che non si distinguano oggi come ieri, anche in ambito internazionale, al pari di altri siciliani che primeggiano nella scienza e nello sport, da Luca Parmitano a Giorgio Avola. Si oppone che un conto è la fornitura e un altro la fruizione, quella che manca. Avremmo quindi un’economia culturale che crea un prodotto che esporta in quantità e qualità apprezzatissime del quale però non fa che scarso consumo.
In termini più tecnici saremmo di fronte a un fenomeno di astroturf e non di grassroots, lanciamo cioè sul mercato idee oltremodo valide nelle quali non crediamo, come studiate a tavolino, anziché altre che appartengano alla più radicata coscienza storica siciliana e che nutrono innanzitutto noi stessi. Ammesso che questa teoria valga come spiegazione, anche se appare piuttosto un controsenso, essa dà tuttavia conto di una realtà, la produzione, che non si capisce perché mai debba venire dopo l’altra, il consumo, e faccia gridare alla commiserazione, alla ricerca di rimedi, quando basterebbe ad alzare trofei e allestire trionfi. In sostanza lodiamo il pasticciere che produce squisitezze richieste in tutto il mondo e lo sviliamo perché lui non ne mangia giacché non ama i dolci. La cultura è come il gusto del pasticciere, da distinguere dai beni culturali, che sono i suoi dolci. In Sicilia abbiamo ottimi pasticcieri, abbondiamo in dolci ma risultiamo sdegnosi e lasciamo che questo dato negativo finisca per prevalere su quello positivo.
Perché? Perché si guarda ai risultati economici, nel presupposto che la cultura, come il turismo, debba produrre ricchezza attraverso il suo consumo, sicché se i siciliani non vanno nei musei è la Sicilia che perde non appeal ma occasioni di crescita economico-sociale. Sennonché la cultura non deve creare ricchezza, perché è ineffabile per definizione. La cultura risponde a sé stessa ed è una scelta che può ritrovarsi anche nella persona più ignorante. Cosa diversa è la fruizione culturale che ha più a che fare con il mercato, i suoi prezzi, la mercificazione stessa della cultura nelle forme dello show e della réclame. Avere aderito alla visione globale nella quale la cultura è assimilata al turismo e allo spettacolo è l’errore che la Sicilia paga più di altra regione perché sprovvista di quelle strutture (mass media, grandi eventi, case editrici e di produzione) che fanno apparire anche un talk show televisivo un fatto culturale quando in realtà non lo è.
I dati Istat misurano non la cultura siciliana ma la sua fruizione in Sicilia, che è determinabile, mentre la prima non può esserlo quanto all’influenza che essa esercita nel mondo. Vige una sorta di principio di indeterminazione che si applica principalmente in Sicilia e che dimostra come non si possano misurare contemporaneamente la quantità di cultura fruita e la qualità di cultura offerta. La prima supera la seconda per convenienza, ma la seconda sopravanza la prima per importanza, effetto questo che l’Istat non può rilevare. Non a caso è stato nella Sicilia culturalmente fanalino di coda che si è avuto il più grande evento culturale degli ultimi anni in uno dei più grandi siti culturali d’Italia: la recitazione di Andrea Camilleri nei panni di Tiresia in una notte magica al teatro greco di Siracusa.