giovedì 12 marzo 2020

Il coronavirus fa più paura del cancro da ciminiera


Non c’è che una sola vittima da coronavirus in Sicilia e finora un solo ricovero in Terapia intensiva, ma nessuno in Rianimazione, eppure sembra che sia tornata dappertutto la spagnola, per modo che si assiste a una crescente psicosi collettiva i cui soli effetti al momento sono di penalizzare un’economia che rallentando rischia di collassare.
Si pone così un interrogativo che implica una scelta tra salute ed economia che però per quasi settant’anni non ha avuto mai risposta nel triangolo industriale Siracusa-Melilli-Priolo, dove il dilemma continua tutt’oggi a essere tra lavoro e salute con l’inscalfibile risultato di favorire il primo e sacrificare la seconda. Novemila morti di cancro, secondo i calcoli di padre Prisutto di Augusta, che ogni mese legge dall’altare l’elenco dei nuovi morti, non sono mai bastati perché un solo siracusano si dotasse di mascherina o amuchina, sebbene la minaccia non sia costituita da un virus trasmissibile con il contatto fisico ma da un male contraibile semplicemente respirando, dunque molto più letale. Né si sono mai avuti decreti che obbligassero a rimanere a casa oppure sindaci che si siano isolati volontariamente come per primo ha fatto il governatore Musumeci, scordandosi del “bravo captain” Gennaro Arma. Novemila decessi spalmati in più decenni e registrati nel silenzio delle famiglie uno alla volta non valgono evidentemente la gravità di un’epidemia che conta tuttavia un'ottantina di contagiati. 
Le severe misure adottate dal governo nazionale, caldamente richieste dai governi regionali, in testa Palazzo d’Orleans, rispondono alla logica della paura che incute più un’ombra di una reale presenza minacciosa, il terrore dell’uomo mascherato rispetto all’individuo con il coltello alzato. L’appello di Musumeci ai turisti di non venire in Sicilia nel timore che portino il virus ha segnato la prevalenza dell’attenzione maggioritaria per l’incolumità della popolazione sull’interesse minoritario di centinaia di operatori turistici impegnati nel settore principe dell’economia siciliana. Epperò è stata fatta una scelta che nel “triangolo industriale della morte” non ha mai avuto considerazione alcuna, pur nella prospettiva di tutelare la salute non solo dei turisti ma anche e soprattutto degli abitanti. Quando si è trattato di spopolare una zona come Marina di Melilli, si è proceduto non per salvare la gente dalle ciminiere ma per impiantarne altre. Se in Sicilia il problema dell’inquinamento atmosferico fosse stato affrontato, tra Priolo, Milazzo e Gela, nei termini emergenziali che il coronavirus sta adesso determinando – prima la salute, poi il benessere – la conta dei morti di cancro non sarebbe stata vista come l’inevitabile prezzo da pagare all’industrializzazione e alla crescita dei livelli occupazionali. Peraltro nessun serio allarme continua a suscitare la copertura di amianto oggi ormai sfibrato che uccide di mesotelioma centinaia di dipendenti pubblici per decenni seduti in uffici velenosi e non bonificati. 
La paura profonda è di non farcela a fermare il virus, nella consapevolezza di strutture sanitarie insufficienti e inadeguate al contrario che nel Nord, ma intanto questo timore sta già provocando di fatto il crollo della già precaria economia siciliana, il ristagno del turismo, il sacrificio di milioni di persone costrette a fare la fila fuori da negozi e supermercati, la rinuncia a tutte le visite mediche specialistiche e agli esami radiologici, l’obbligo del domicilio coatto, il contingentamento delle provviste, l’annullamento di ogni svago e la conduzione di una vita da film post-apocalittico, con scuole chiuse e persino funerali preclusi. Chi si presentasse oggi a un pronto soccorso con qualche linea di febbre e il naso chiuso verrebbe ammesso con assoluta precedenza rispetto a un infartuato, tenuto in attesa, perché chi è raffreddato costituisce un rischio per gli altri mentre chi rischia la morte di cuore non contagia nessuno. 
Il coronavirus in Sicilia sta determinando danni collaterali devastanti prima ancora di fare vittime. Richiede certamente precauzione e prevenzione, ma tali che non fagocitino interessi primari, delicati e irrinunciabili. E tengano conto che novemila morti di cancro non sono figli di una Sicilia minore solo perché vivono in un’area circoscritta dove sia capitato come un terremoto che può suscitare pena per le vittime ma non paura per sé stessi. Sopravvalutare il nemico dotato di armi a lunga gittata può essere una buona strategia difensiva, ma sottovalutare quello che uccide senza pietà usando armi corte è un errore tattico e un atto di disfattismo.