domenica 3 settembre 2023

"Il lato oscuro della mia famiglia", la serie Tv dello shaker

 

Si sa che gli italiani non sanno realizzare serie Tv, salvo che ricalchino contesti sociali fortemente reali come è stato per Gomorra e Mare fuori, dove la docu-fiction ha la meglio sull’invenzione, ma ora scopriamo che nemmeno i tedeschi conoscono il mestiere nel quale i soli americani sono veri maestri. Anzi, sono messi ancora peggio.
La Rai ha trasmesso in prima assoluta una miniserie in sette puntate prodotta in Germania intitolata Il lato oscuro della mia famiglia, corrompendo il bel titolo originale “Noi ieri eravamo ancora bambini” per fare un noir di un concept psicomachico e di un Bildungsroman. L’espressione “lato oscuro”, tanto cara alla scuola bolognese di Lucarelli, fa pensare non a segreti reconditi ma a misteri e intrighi nascosti in seno a una famiglia lacerata da dissidi intestini e minacciata da elementi esterni di tipo horror e splatter, mentre la serie propone il processo di formazione che segue una diciottenne alle prese, dopo che il padre uccide la madre, con il dover badare a sé stessa e ai suoi due fratelli piccoli: una ragazza, Vivian, che non decide di scoprire il movente dell’uxoricidio (non è questo il leitmotiv della serie), ma si trova via via a trovare la verità, benché solo per una parte diessa, dal momento che nulla viene a sapere della reale indole di Tim, il poliziotto che l’aiuta e di cui si innamora, né della tresca della madre avuta proprio con il poliziotto, né della coetanea e compagna di liceo che il padre ha assistito economicamente per espiare una sua colpa.
La serie termina con la soluzione di tutti gli interrogativi, aperti non dalla fabula quanto dall’intreccio, epperò lascia sospeso un finale che presagisce un sequel, probabilmente già previsto in Germania dove ha convinto sei milioni di telespettatori, mentre in Italia si è fermata a una media di 2 milioni e 600 mila spettatori per ognuna delle tre serate su Raidue nel picktime. Un dato alquanto modesto ma comprensibile per via delle debolezze strutturali e dell’eccesso di un elemento che dovrebbe essere presente con estrema parsimonia anche in una serie Tv: la coincidenza, sinonimo di inverosimiglianza e improbabilità.
E’ l’intreccio a tenere a galla la trama perché giocato su ricorrenti flashback che creano interesse e attesa, così salva una fabula banale, scontata, prevedibile e senza fiato. Insomma, una trama superficiale ma montata ad arte con abilità e tale anche da confondere circa l’identità dei personaggi e le epoche di riferimento. Una trama che è un campionario di incongruità.
Il giovane Peter Klettman ha una cotta per Luisa Wellmer mentre Anna, non ricambiata, ce l’ha per lui. Quando Peter scopre ad un ballo che Luisa è con un uomo maturo, si ubriaca, si droga ed esce a sganciare il rimorchio di un Tir il quale va a fuoco e provoca la morte di quattro persone di cui risponderà il camionista. Peter, che ha un pessimo rapporto con il padre avvocato, decide di impiccarsi ma quando, già con il cappio al collo, sta per dare un calcio allo sgabello suonano al citofono e lui, che non dovrebbe più avere interesse a questo mondo, si toglie la corda, va ad aprire e accetta un Cd che Anna è venuta a dargli in dono. Anna gli salva la vita ma la serie si dimenticherà di far sì che lei lo venga a sapere da lui quando le confesserà la sua grande colpa. 
Invece di tornare in cantina dalla sua corda Peter si siede in poltrona e ascolta il Cd. Potenza della musica, perché prende la bicicletta e rincorre Anna, mandata via in malo modo sulla porta, le dice che il brano gli è piaciuto molto e ipso facto se ne innamora perdutamente: proprio nel momento in cui Anna è peraltro con Luisa. Si sposeranno, avranno tre figli, lui diventerà un avvocato e vivranno felici e contenti fino a quando la moglie del camionista incriminato, che intanto è diventato un beone violento, insieme con il suocero va proprio nel suo studio legale per chiedere un atto di diseredazione. Lui si rifiuta di istruire l'atto, ma in compenso si offre di assistere economicamente la famiglia e mantenere la figlia a scuola, ancor più dopo che il camionista diventa paraplegico ed è condannato a una vita vegetativa senza facoltà di parola. Cosa fa allora Peter? Va al suo capezzale e gli confessa di essere il responsabile della morte della famiglia travolta dal rimorchio in fiamme.
E quando il vecchio compagno di scuola innamorato di Anna le confida che Peter paga la retta di una ragazza, Anna pensa che il marito abbia una figlia avuta da un’altra donna. Non lo lascia ma, ancora per caso, incontra Tim il poliziotto che invece di farle una multa per eccesso di velocità se la porta a casa e ne fa la sua amante.
Il giorno del 44esimo compleanno di Anna (la quale sa sin da bambina che morirà a 44 anni per averle un mago detto che le volte in cui un corvo gracchierà per lei conterà gli anni della sua vita) Peter la uccide dopo che lei gli confessa di essere stata con un altro, senza però aggiungere che se n’è pentita avendolo allontanato. Ha soprasseduto alla notizia della presunta figlia, ma ora invece di salvare il matrimonio e farsi perdonare dal marito ha deciso di lasciarlo, a dispetto della profezia che incombe su di lei e che lei tiene sempre presente.
Il giovane poliziotto dall’infanzia tribolata sempre per caso si trova nel luogo del delitto e ascolta quanto in punto di morte la sua ex amante gli dice: non il nome dell’assassino, ciò che farebbe chiunque, ma lo diffida a non avvicinarsi ai suoi figli (altrimenti gli dice che lo ucciderà, forse tornando un attimo dall'Aldilà dove sa che sta per andare), cosa che non si capisce perché mai lei debba temere che lui possa fare. Semmai dovrebbe chiedergli di tacere con i figli la loro storia: invece non e, senza ragione alcuna, il poliziotto riferisce al collega anziano che la moribonda gli ha sussurrato di badare ai suoi figli. Il poliziotto avvicina allora Vivian e l’aiuta ospitandola anche in casa, mentre Peter che ha confessato ed è stato rinchiuso in carcere decide di scrivere una lunga confessione alla figlia in cui rivela tutto sulla madre, ma con il magistrato non apre bocca se non per dire che mai dirà del tradimento della moglie perché i figli un giorno non ne abbiamo un cattivo ricordo. Conclusa la lettera si uccide e la serie finisce con troppo domande senza risposta, compresa quella che riguarda la fine del cane di casa, se sia stato ucciso o sia morto di vecchiaia.
Se questa è la sinossi essenziale, l’intreccio è una sarabanda di analessi e di giochi diacronici tra i fatti relativi al delitto e quelli anche remoti che riguardano i protagonisti, sicché quasi tutti i personaggi sono interpreti diversi secondo l'età. Ma senza tale vertiginoso tourbillon, se in sostanza la trama avesse seguito uno sviluppo cronologico, la serie sarebbe apparsa priva di alcun appeal. Il regista è stato capace di creare uno stato di suspence permanente per il quale si è parlato di thriller, ma ha dovuto tenere sempre conto per fare ciò della posizione del telespettatore e non di quelle dei protagonisti, che a cominciare da Vivian rimangono all’oscuro di molti aspetti. Si tratta di un fatto nuovo anche dal punto di vista narratologico, giacché in prima istanza sono i personaggi ad arrivare alla soluzione e alla spiegazione del caso, ottenute le quali lo spettatore è poi chiamato a trarre le fila e darsi la sua chiave di lettura. 
E’ possibile che per la pochezza della trama la regista Nina Wolfrum (donna è anche la sceneggiatrice, soggettista e produttrice Natalie Sharp: ed è di tutta evidenza la matrice femminile) abbia scelto di moltiplicare l’effetto combinatorio dei tempi della narrazione: con il risultato però di ottenere un geyser impazzito. Come una grossa cotoletta che se all’apparenza ingolosisce poi, tolta la mollica, si riduce a misera cosa.