mercoledì 24 dicembre 2008

La democrazia ha un vizio congenito



Dopo che Atene viene fondata si pone la questione di quale divinità protettrice scegliere. Si fanno avanti, cioè si candidano, Poseidone e Atena. Il primo offre in dono una sorgente, la seconda un olivo. Gli ateniesi, padri rigorosissimi del principio di democrazia, votano ed eleggono Atena. Perché? Perché hanno preferito l’olivo alla sorgente? No. Vince Atena perché le donne sono di gran lunga più numerose degli uomini.
L’elettorato non sceglie dunque il programma, l’olivo o la sorgente, ma il candidato. Nella culla della democrazia, la sovranità popolare nasce dunque con un vizio congenito che non si sanerà mai più. Non conta ciò che uno vuole fare ma ciò che è in quanto a noi simile. Il rapporto di fiducia recede di fronte al legame di appartenenza. Si è del resto di un partito perché si è parte di uno schieramento nel quale il programma viene dopo il riconoscimento che ciascuno opera del luogo ideale in cui ha scelto di stare. 
Il problema, oggi tanto agitato, della prevalenza dello status sull’opus, problema che riguarda la preferenza accordata al modo d’essere più che al modo di fare – contando quindi come ci si mostra e ostenta, come in definitiva si appare anziché cosa si è capaci di realizzare – e al quale si tenta di dare una risposta perché il giudizio di valore sia pertinente alle qualità e non all’aspetto, risale dunque ai primordi della democrazia. Atena batte Poseidone perché può contare sulla maggioranza dell’elettorato, che è femminile e che la vota perché si riconosce in essa vedendo nel candidato maschile non un rivale ma un diverso. L’olivo diventerà il simbolo di Atene, ma questo significa solo che la dea manterrà la promessa e imporrà le proprie insegne e i propri simulacri. 
Se ripensiamo alla sfida tra Obama e McCain, ritroviamo elementi analoghi: al di là dei programmi, in molti punti peraltro convergenti, la preferenza è andata a Obama a scatola chiusa, prima cioè che fosse possibile saggiarne le capacità. Senza nemmeno essere stato messo alla prova, Obama ha perciò conquistato il posto di potere più alto nel mondo grazie a ragioni che nulla hanno a che fare con le sue qualità politiche. Si è riconosciuta in lui l’America di colore, quella che preferisce i giovani ai vecchi, quella che ama le persone fisicamente attraenti, sportive e in forma, l’America insomma che costituisce la maggioranza in materie che purtuttavia sono del tutto estranee alla politica. 
A differenza dell’opinione di Louis Khan secondo il quale l’architettura non esiste perché ciò che esiste è l’opera architettonica, una concezione che possiamo definire strutturalistica, in politica – nella modalità della democrazia – vale il principio opposto: quello che i Greci chiamavano legomenon prevale sul dromenon, nel senso che non conta il risultato ma chi del risultato parli in nome proprio e ne riconduca gli effetti alla propria persona. Sicché quel che vediamo agire al fondo del sistema di governo più diffuso al mondo è una variazione appena rivista del vecchio modello di conquista del consenso che va sotto il nome di «culto della personalità». 
La democrazia per sua natura tende a personalizzare il consenso e a ritenere che la forza di un candidato non dipenda da quello che ha in testa di fare ma da quanto riesca a mostrarsi a noi simile e capace di suggestionarci con proprietà dell’animo anziché mezzi dell’intelletto. Alla fine, sotto i paramenti della democrazia, ciò che vogliamo è una sana tirannide, cosa che faceva dire a Brancati come siano migliori e preferibili quanti escano da una dittatura rispetto a quanti escano invece da una democrazia.