sabato 17 luglio 2010

Gli amici con i pennacchi


«Levateje er vino» avvertiva qualche settimana fa Costanzo, nelle sue svaporate “Notti mondiali”, di un ospite che le diceva di testa. Pur avendole fatte di pancia, nessuno ha però pensato di consigliare agli amici della domenica di privarsi dello strega, cosicché quest’anno si sono fatti cogliere a barcollare lungo i muri del Ninfeo con tanti «pennacchi» in capo come cappelli di lucignolo.
L’hanno fatta grossa davvero. O forse no: perché lo Strega è un liquore distillato secondo formule confidate dalle streghe di Benevento, capitale della magia, e le alchimie che liofilizzano le sue settanta erbe altro non mascherano che le strategie che tantalizzano gli oltre quattrocento giurati di Villa Giulia. “Gli Amici della domenica” sono detti (come gli scrittori che si dilettano nelle feste comandate), ma in verità le domeniche non sono meno di venti: le settimane nelle quali gli uffici stampa delle case editrici – e chi altri ne abbia interesse – li blandiscono con vere e proprie forme di stalking.

Amici di chi poi? Delle case editrici senz’altro, se però queste sanno irretirli (né mancano loro i mezzi per persuadere figure – quali scrittori, giornalisti, artisti e critici – che sono tra le più esposte al fascino della lusinga), ma anche e soprattutto di se stessi. Come in politica, un voto può essere infatti determinante – e lo si è visto quest’anno come anche l’anno scorso. Ma quanto determinante? Basta osservare con molta attenzione i libri, le curatele, le prefazioni, le collaborazioni giornalistiche e le altre prebende che dopo l’estate legano nomi di amici della domenica e case editrici, quelle che generalmente sono legittimate dal Fato (leggi: dalle capacità di uffici stampa, editor e dirigenti) alla conquista della bottiglia gialla da far levare alle stelle al loro bencapitato capro giaculatorio di turno. Dacché bisogna risalire al 1967 per trovare impalmato un editore minore, Vallecchi. Per il resto il campionato è sempre a tre squadre: Mondadori, Rizzoli e Feltrinelli, con l’aggiunta di Einaudi, Bompiani e Garzanti che però sono oramai cosa loro. Un campionato nel quale gli autori valgono molto meno dei piloti e dei fantini, perché i pronostici riguardano non i loro libri ma i loro editori, al pari delle auto e dei cavalli da corsa. Perché, per dirla tutta, lo Strega è un concorso non di narrativa ma di editoria: vi partecipano i produttori.
Chi ha un minimo di frequentazione dell’ambiente sa bene infatti che non c’è amico della domenica che alla domanda sul beneficiario del suo voto non faccia il nome dell’editore anziché dello scrittore. «A chi dai il voto?». «Quest’anno a Einaudi»: come dire che l’anno scorso l’ho dato a Rizzoli e l’anno prossimo si vedrà. Il giurato è cosciente del fatto che non gli servono a nulla i punti-qualità (l’affermazione cioè del proprio, autonomo, giudizio di valore) ma che se vuole cavare qualche frutto deve raccogliere punti-fedeltà: agli editori, agli altri amici, a chiunque lo chiami sul cellulare e gli cominci a parlare di letteratura facendosi poi scappare un nome d’autore dopo aver solennemente sospirato sulla crisi della narrativa.
Chi poi ha più di un minimo di frequentazione sa anche bene che sono non più di una dozzina gli amici che leggono i libri in concorso. La prova? Trattandosi di scrittori, giornalisti e critici letterari, dovrebbero essere portati per mestiere o per vocazione a recensire un libro che è piaciuto loro molto. Invece no. Chi ha tempo controlli su Internet – incrociando i nomi di autori e giurati¬ – quanti dei secondi si siano occupati dei primi. Si astengono dal parlarne perché sono giurati, si dirà. Senonché un libro si recensisce quando esce e non quando viene candidato al massimo alloro nazionale.
Questo sistema fomenta un effetto domino distruttivo: giacché si tratta di un premio capace – ma oggi meno di ieri – di fare vendere libri vincenti e piazzati, la scelta determina anche un gusto che si muta in un codice di orientamento e da qui in canone letterario. Se insomma il libro che vince lo Strega decreta il miglior prodotto dell’anno, il pubblico è indotto a credere che quello che ha comprato è il libro sul cui contenuto deve conformare le proprie letture: senza pensare che il vincitore dello Strega è come Miss Italia, in capo alla quale si posa la corona della più bella di un regno dove c’è sempre una più bella.
Ma il pubblico, e quindi il mercato, segue poco alchimie e fumisterie e assicura il suo favore (quello che le case editrici alla fine vogliono guidare) quasi sempre ad autori e libri che il mondo in lucido e belletto dei premi snobba nella pretesa, scimmiottando il Nobel, di elevare a maggiore e vana gloria nomi che perlopiù ringalluzziscono l’espace d’un mesetto e che vantano una speciale quiddità: di non essere di moda e di non essere né popolari né commerciali. Salvo poi, come Giordano, diventare l’uno e l’altro e altro ancora. Ma, diceva Pavese, chi non segue la moda, come fa lo Strega che tende a ignorare gli autori sul mercato, da Camilleri a De Crescenzo, è destinato a seguirla l’anno successivo, quando magari è passata. Epperò ci sono mode che non passano da un anno all’altro e ci sono premi che si incaponiscono a ricercare l’elemento di novità in un mare dei sargassi dove tutti gridano al capolavoro per smentirsi poi di fronte al misirizzi.
Pennacchi non fa differenza, come nemmeno, a regredire, Scarpa, Giordano e Ammaniti. Laddove invece Caos calmo di Veronesi, anno 2006, è l’ultimo libro di qualità sul quale gli amici del Ninfeo si sono tenuti svegli e che ha avuto vita non solo più lunga ma anche più nobile.