mercoledì 12 febbraio 2014

Un San Valentino troppo carnale in Sicilia


Probabilmente, se fossero nati in Sicilia anziché a Valence, i due fidanzatini di Peynet si sarebbero baciati le mani anziché tenersele strette. In I vecchi e i giovani di Pirandello, il romanzo cardinale dell’ultimo Ottocento siciliano, don Flaminio ricorda a donna Rosa, a scanso di irriverenza: «Io ti ho baciato sempre la mano».
«Ecco, bacia, bacia! Sicuro che me la devi baciare» risponde lei rinsaldando un’etica che vale per una nobildonna come per un vescovo, un boss o un qualsiasi vossignoria, compresi i genitori, il baciamano sottendendo il gesto più comune per esprimere rispetto, devozione e anche un po’ d’amore, come in Eros di Verga fa Alberto con Adele cui bacia “le manine con ardore”. 

E se il “baciamolemani” è ancora oggi un saluto riverenziale, è però decaduto il bacio sul petto, all’altezza del cuore, del tipo di quello che Mauro dà a don Ippolito quale segno di profondo affetto ancora ne I vecchi e giovani. Dove il bacio, tolti anche quelli sulla fronte e sulle guance, diventa anzichenò il surrogato di un amplesso se dato finalmente sulla bocca, sicché Nino chiede a Celsina «un altro bacio che la penetrasse nel fondo più fondo dell’anima; un bacio smanioso, cocente, infinito, col quale darle tutto se stesso e prenderla tutta, nello spasimo più violento del desiderio», mentre in Suggestione Capuana (alla cui Giacinta basta solo un bacio per sentirsi violata) fa dire dal canto suo a un vecchio prete rivolto a una “madonna” terrena: «Il colorito della vostra pelle fa sentire, anche allo sguardo di chi vi fissa, la soave morbidezza che deve rendere quasi angosciosa la voluttà delle labbra nel momento di un bacio». 

In fatto di amore la Sicilia è sempre esagerata e il bacio un atto fuori misura. Riprendiamo il più realista, Verga: in Il marito di Elena è lei a decidere quando concedergli il primo bacio e prendere l’iniziativa, perché solo da quel momento sarà sua; e ne La peccatrice il valzer di Arditi intitolato “Il Bacio” scandisce quelli clandestini tra Pietro e Narcisa, lasciati però sugli occhi, nelle mani, nei capelli più che sulle labbra e comunque sempre intrisi di lacrime svenevoli e amorose. Ancora nel secondo Verga, quello verista, Gnà Lola ringraziando Dio bacia per terra mentre Alfio e Turiddu si baciano per sfidarsi a morte concependo per primi l’equazione empedoclea eros-thanatos che in Sicilia è forse all’origine di ogni manifestazione d’amore e il cui principale interprete è visto in Bufalino.

La sua Diceria dell’untore evoca un amore in via di disfacimento che si precisa nel doppio e contrapposto atteggiamento di un tisico che bacia una malata «in un travaso di sé nell’altro» (per «ammiscarsi», cioè contagiarsi a vicenda) e dello stesso tisico che poi, una volta in via di guarigione, si rifiuta a lei che lo invita: «Baciamoci sulle labbra senza paura». Il bacio che è comunione prima e pericolo dopo diventa in Argo il cielo un vagheggiamento quando in un ballo, inventandosi un passato comune, lui dice a lei: «E quel bacio nel penultimo tunnel te lo ricordi?», per sentirsi rispondere, ancora in un sogno ad occhi aperti: «Come, non fu nell’ultimo?». 

Non ci sono baci veri nemmeno in Bufalino. Solo un gioco d’inganni, perché baciare in Sicilia o non è niente oppure è tutto: al punto che in un racconto del ’38, “Il bacio”, Brancati ne fa un grottesco per irridere il fascismo immaginando la polizia impegnata a impedire che un fanatico baci il sovrintendente in visita a Milletarì. La linea del paradosso è la stessa che vedrà attestato Camilleri quando nel racconto Parabola vorrà che Cristo abbracci e baci Lucifero in televisione per mantenere la fama di misericordioso, o quando in La Vucciria lascerà che l’eretica Anna baci un uomo nel mercato palermitano per volatilizzarsi con lui. 
Ma il bacio più bello del repertorio siciliano, il più sanvalentiniano senza San Valentino, è quello che Laura di L’età del dubbio, sempre di Camilleri, dà a Montalbano: una prova d’amore fine a se stesso, di puro ed etereo sentimento, appunto à la Peynet, la più compiuta dimostrazione, nello spirito del 14 febbraio, che “amor ch’a nullo amato amar perdona” e quindi se si ama davvero non si può non essere riamati. Il suo correlato iconico può essere rintracciato nel d’après del Bacio di Hayez opera di Piero Guccione, un pastello che forse è da assumere a simbolo del San Valentino siciliano perché i volti dei due giovani che si baciano appaiono circonfusi in un’ombra incorporea (come nel Bacio con la finestra di Munch al quale Guccione dice di aver pensato rifacendo Hayez) che bene rende il senso indistinto e multiforme del bacio siciliano e quindi dell’amore.
Il d’après guccioniano è del 1998, realizzato per lo studio su Tristano e Isotta. Di trent’anni prima, in un clima ben diverso, libertario e ideologico, è Giovani innamorati di Renato Guttuso, dove il bacio si ferma a un abbraccio sentito e ad occhi chiusi, che costituisce un modo diverso in Sicilia di avvertire l’amore. E’ proprio degli anni immediatamente successivi il florilegio stracult di film tratti da romanzi siciliani (dai brancatiani Don Giovanni in Sicilia, Paolo il caldo, Il bell’Antonio ai pattiani Un bellissimo novembre, Graziella, Un amore a Roma) dove il bacio diventa malizioso e sensuale in conformità a un’istanza di liberazione sessuale che sacrifica l’amore sull’altare del costume. Questa tendenza si allungherà fino a registi, non certo da nuova commedia all’italiana, come Tornatore, Torre, Grimaldi, Scimeca, Andò, Crialese, marcando sempre più la distanza tra la panchina degli innamorati e l’alcova degli amanti. 
C’è troppa carnalità nella coscienza siciliana, troppa varietà di baci, per ammettere a pieno titolo un San Valentino che nel sacro non operi il profano, giusto il rovesciamento sciasciano della fede cristiana in senso materialistico. Alla retorica di un San Valentino tutto sospiri e batter di ciglia la morale siciliana oppone, non da ora, uno spirito desemantizzato, come in contraggenio: quello della gnà Pina, detta “la Lupa”. Che diventa la “donna-lupo” di Aurelio Grimaldi, le tante erinni di Silvana Grasso, l’Angelica di Camilleri, la Annetta di Lara Cardella, il licantropo di Consolo, il Paolo Castorini di Brancati, la cugina Agata di Patti, la Malèna di Tornatore, i transfert di Melissa P., la Modesta di Goliarda Sapienza, la Costanza di Agnello Hornby e che, per continuare ad libitum, pavesa la lunga galleria di personaggi freudiani che attraversano, già da Micio Tempio, l’intera tradizione culturale siciliana fino ai comici e agli attori del momento, per perpetuare un’idea di amore che non si può ritrovare nel bacio canonico del San Valentino.