Quando Obama levava alto in cielo il grido “We can change the world” non faceva che inneggiare alla rivoluzione, dichiarata con altre parole, ma escludeva l’Italia e la Sicilia: l’Italia perché ci avrebbe pensato Matteo Renzi e la Sicilia perché sarebbe stato compito di Rosario Crocetta.
Allo spirito della rivoluzione è infatti richiamata l’iniziativa politica sia dell’uno che dell’altro: Renzi ha pensato bene di inventare un account email di tutta chiarezza, rivoluzione@governo.it, mentre Crocetta sin dal primo momento della sua campagna di conquista regionale ha parlato apertamente di rivoluzione. Eppure non è una bella parola: evoca ghigliottine giacobine e baionette leniniste, rivolte popolari nel sangue e primavere incendiarie di stragi. Anche Mussolini si intestò una rivoluzione fascistica, così pure Mao Tse Tung parlò di rivoluzione culturale e per ultimo persino Berlusconi ha più volte trovato in Forza Italia una spinta rivoluzionaria. Non c’è in realtà tiranno che non si creda portatore di un cambiamento copernicano, rivoluzionario appunto. Né c’è cambiamento che non abbia un carattere radicale di totale rivolgimento. Sicché più una parola assume accezioni diverse e passa di bocca in bocca e più perde peso semantico: com'è per una parolaccia che per essere sempre ripetuta alla fine non acquista che il solo valore di una interiezione.
Per cui la rivoluzione di Renzi e Crocetta, di matrice comunista entrambi e quindi proclivi a cogliere nella loro rivoluzione il senso di una palingenesi, non si riduce che a un massimalismo votato all'affermazione non tanto di un programma condiviso ma di un'ambizione personale. In questa prospettiva la rivoluzione personale di Renzi e Crocetta non risveglia, sotto forme rammodernate, che il vieto culto della personalità, dove il cambiamento è frutto del proprio successo, della propria volontà e del proprio ottimismo.
Rieccoci dunque a Craxi e a un'epoca alla quale sia Renzi che Crocetta si rifanno senza averne coscienza o senza che gli altri ne abbiano. Da Craxi a Berlusconi il percorso è breve e il cerchio si chiude. Renzi ci sta certamente in mezzo, ma anche Crocetta, con la sua declamatoria di "unto del Signore", di salvatore della Sicilia e di uomo della provvidenza nonché simbolo della primavera siciliana, è nei paraggi muovendosi dal polo socialista all'altro liberale e cercando di unirne le cime in un progetto che strizza l'occhio alla Confindustria e fa il piedino ai sindacati. E' di ieri una sua ultima dichiarazione, con la quale, ribadendo che sta "portando avanti una rivoluzione", ammette candidamente di stare con gli industriali e la Cgil allo stesso tempo.
Non è proprio questa la rivoluzione che ci si aspettava, la realizzazione cioè della teoria dell'unificazione degli estremi, né si può vedere nella sua azione un intento pacificatore perché anche in fisica gli opposti non tendono a un punto di sintesi o di fusione ma a uno scambio di energia. Questo principio è però ben chiaro a Renzi che invece punta a separare anziché unire le parti sociali: strategia che però paga solo fino a quando, dividendo troppo, non si determina lo strappo.
Ma non c'è niente di rivoluzionario in tutto questo, se rivoluzionaria può essere detta solo un'azione di massa e non individuale. Sia il premier che il governatore hanno dimostrato di essere individualisti senza esitazioni e camuffamenti: non amano il coro se non come eco, non guardano alla squadra senza vedere in essa una compagine di gregari, preferiscono i partecipanti ai soci e quando usano il plurale è solo per riferirlo alla loro maestà.
Ma non c'è niente di rivoluzionario in tutto questo, se rivoluzionaria può essere detta solo un'azione di massa e non individuale. Sia il premier che il governatore hanno dimostrato di essere individualisti senza esitazioni e camuffamenti: non amano il coro se non come eco, non guardano alla squadra senza vedere in essa una compagine di gregari, preferiscono i partecipanti ai soci e quando usano il plurale è solo per riferirlo alla loro maestà.
Non sono rivoluzionari né l'uno né l'altro, ma sono senz'altro degli innovatori, più esattamente rottamatore il premier e guastatore il governatore. Appartengono a un genio che disfà e rifà a proprio modello e senza ingegneri. Nel loro progetto rientra il gusto della sorpresa e della rottura del canone a uso del buon palato della folla. Renzi ha trovato irresistibile annunciare riunioni di segreteria alle sette del mattino per poi non tenerne che solo una. Ha ritenuto rivoluzionario chiamare nel partito e soprattutto al governo amici fidati, belle ragazze, nomi sconosciuti e compagni di strada, ben sapendo che sarebbero stati tutti suoi portavoce. Così Crocetta: per colpire le masse ha reclutato Zichichi e Battiato, sbolognandoli quasi subito per fare posto a donne del tutto inesperte, promosse da segretarie a dignitarie di corte, ha assunto nel suo staff spaesati e superbi extracomunitari per dare contenuto alla sua idea di politicamente corretto, ha fatto della sua lotta alla mafia una tessera professionale e si è chiuso in una dimensione di albagia e grandigia credendo di elevarsi quando invece si è solo isolato. Quanto alla rivoluzione, è rimasta nell'anticamera, come una bandiera messa di canto e di tanto in tanto sventolata alla finestra, sinonimo di bel gesto, qual è oggi il senso della politica dell'iperbole e dell'ostentazione. Si grida alla rivoluzione da Roma a Palermo, con voci diverse e sotto vessilli distinti, ma alla fine è solo la stessa ammuina.