Il fuso orario non nasce per dare un canone di riferimento alla geografia ma per uniformare la storia. Nasce infatti quando il commercio supera le città circonvicine e si estende all'estero, ma ciò avviene al verificarsi di alcuni fatti nuovi: la maggiore rapidità dei trasporti, l'accrescimento dei carichi e la loro aumentata frequenza. Quindi solo alla fine dell'Ottocento.
Per tutto il tempo precedente, lunghissimo, fino a risalire alle ere postdiluviane, gli uomini non hanno avuto mai bisogno né motivo di sincronizzare i loro atti né di uniformare i calendari, non essendo possibile che due persone comunicassero contemporaneamente stando in due emisferi diversi del pianeta o solo a cento chilometri.
La distanza veniva curiosamente calcolata, com'è oggi, dal mezzo di trasporto e non dal tempo impiegato e dallo spazio percorso, criteri di calcolo subentrati dopo e poi superati con l'avvento della globalizzazione e della tecnologia telematica. I corrieri a cavallo, i piccioni viaggiatori e poi la posta costituivano i soli mezzi con cui mantenere comunicazioni a grandi distanze, misurate in base al tempo che un cavallo, un piccione o una lettera impiegasse per arrivare: del tutto insufficienti però e lontani dal potere stabilire anche la più minima simultaneità. Quella che oggi rende possibile a due persone anche di vedersi nello stesso momento su uno schermo stando agli antipodi, tecnica che pure era stata compresa a metà del Novecento entro il sistema stesso della natura, dove il battito di ali di una farfalla in Brasile può determinare un uragano a Pechino.
Nell'antichità non si poteva avere contezza che l'altezza del sole ad Atene fosse, in un dato momento, diversa che a Babilonia o ad Alessandria e che in un luogo fosse notte e in un altro giorno se non osservando la rotazione del sole attorno alla Terra, per cui se un cono di essa veniva illuminato, il resto restava in ombra: di conseguenza entro lo stesso cono di luce, che occupava metà del pianeta, il sole creava ombre più o meno lunghe, come poté osservare Talete seguendo l'ombra che proiettava la piramide di Cheope. Ma non c'era alcun modo di constatare empiricamente che la variazione di luce entro lo stesso cono corrispondeva ad orari diversi: non potendo appunto aversi due persone che comunicassero contemporaneamente scambiandosi le osservazioni.
Quel che gli antichi vedevano erano le navi che all'orizzonte spuntavano non intere e di colpo bensì come sollevandosi e poco alla volta. Non arrivando da ciò a dedurre la sfericità della Terra, né tantomeno la sua rotazione e la sua rivoluzione attorno al sole, supponevano un concetto di distanza in senso distorsivo dovuto a un elemento, l'aria, che assimilavano all'acqua dove vedevano gli oggetti immersi piegarsi bizzarramente, elemento che quindi produceva fenomeni tanto più insoliti quanto più fosse la distanza. Del resto potevano vedere un fenomeno analogo osservando panorami molto profondi dove per la distanza l'aria colorava le montagne secondo la lontananza.
Fino agli inizi del Novecento le lettere e i messaggi erano scritti usando i tempi al passato ("Stavo bene quando ti scrivevo questa lettera...") tenendo conto della distanza del destinatario: più era lontano e più c'era motivo di ricorrere al tempo remoto. Si trattava di una distorsione non diversa da quella osservata in natura, distorsione alla quale si conformavano anche i giornali che non conoscevano il presente storico e che indulgevano molto all'imperfetto, entrato poi in tempi moderni nella pratica dei rapporti scritti ufficiali.
La distanza era dunque commisurata alla durata teorica e presunta della comunicazione, sicché il tempo non era inteso come processo invariabile da un punto definito a un altro, ma, bergsoniamente, come attesa, che quanto più lunga fosse tanto più lunga doveva la distanza e tanto più lento il mezzo di trasporto. Questa attesa, che implicava uno stato passivo, un fermo, pignorava appunto l'attendibilità del dato trasmesso e la sua veridicità. In un mondo dove l'onere della prova era rovesciato, per cui spettava al destinatario verificare il fondamento della notizia, la menzogna era una forma di verità, sicché Oreste poté, spacciandosi per un forestiero, comunicare a Clitennestra che l'Oreste che lei conosceva, anzi che ricordava nel suo aspetto, era morto: senza che, pur essendo una figura politica di primissimo piano e quindi nota a tutti, potesse essere smentito.
Quello che oggi appare un paradosso insensato, per cui nei tribunali i giudici chiedono a imputati e testimoni se conoscono una persona, così da dedurre collusioni e complicità, cosa inevitabile dal momento che siamo tutti persone informate dei fatti, non è che un retaggio di epoche nelle quali conoscere una persona o un fatto significava essere coinvolti. Nel Cinquecento il viceré di Sicilia Ugo Moncada riuscì per molti anni a tenere segreta addirittura la morte di Re Ferdinando il Cattolico temendo una rivolta popolare. Che scoppiò quando un nobile divulgò la notizia.
"Curiosi" erano chiamati nell'età bizantina quei funzionari imperiali che percorrevano le province per raccogliere informazioni sulla fedeltà dei sudditi. Ed erano detti così non nel significato moderno di impiccioni ma in quello originario di solleciti, quindi preoccupati di fare presto: primo perché non fossero lasciati troppo tempo impuniti possibili eversivi, secondo per impedire che nel frattempo la persona inquisita potesse inquinare le prove o assumere iniziative di sopravvento. Curioso è parola che divide la radice latina con currere, quindi con la corsa, la fretta, il tempo e la distanza. La corsa contro il tempo aveva molto più senso nell'antichità che oggi. Se una volta era l'uomo che correva, il tempo rimanendo una dimensione immobile, oggi è il tempo a correre, per cui può essere ribaltata la formula secondo cui non è perché invecchiamo che il tempo passa. Forse è proprio il tempo che passa che ci fa invecchiare.
Stranamente i greci, pur non avendone pratica quotidiana, o forse avendola eccome, avevano elaborato concezioni del tempo ad ognuna delle quali fare corrispondere, diversamente che per noi moderni, un nome diverso: l'aìon è l'immutabilità, il kronos il divenire e il kairos l'attimo fuggente. E ancora più stranamente, ragionando dall'oggi dove ci troviamo, constatiamo che queste tre fasi non sono stati differenti ma fasi di un processo che, proprio in questo ordine, l'umanità ha percorso. Il tempo che corre e che fugge ci rende instabili, volatili, elusivi. Il progresso ci ha fatto allungare l'esistenza ma ci ha accorciato la vita.