venerdì 18 luglio 2014

Berlusconi è ora anche ex mangiagiudici



L'assoluzione con formula piena dall'accusa di concussione e sfruttamento della prostituzione minorile, una condanna più che un'accusa, ha colto un Berlusconi intimorito più che incredulo. Anziché dire, come primo commento, che s'era avuta la prova di quanto la giustizia fosse politicizzata o persecutoria, ha detto che ci sono anche giudici ammirevoli, cioè che ci sono giudici a Berlino, ovvero a Milano.
Aveva l'occasione di infierire, magari lo farà appresso, sulle toghe sporche di colpa e invece ha osannato quelle immacolate: classico atteggiamento di chi le ha buscate sonoramente e non vuole più correre il rischio di fare il pugile suonato che si rialza fieramente per menare pugni in aria. Eppure aveva ben ragione di dire: "O sbaglia questa corte d'appello o ha sbagliato quel tribunale, visto che si sono pronunciati in maniera opposta sugli stessi fatti". 
Nell'uno e nell'altro caso, avrebbe avuto ragione lui a predicare che la giustizia va rifatta, che in Italia non si fa giustizia ma giustizialismo, che le correnti interne alla magistratura nulla hanno di meno da quelle intestine ai partiti politici a cui si collegano, che la carriera di inquirente va del tutto distinta da quella di giudicante, che il processo accusatorio è rimasto nella sostanza di rito inquisitorio più che misto, che dipendendo la carriera dei giudici dal Csm, organo nelle mani dei partiti, è ovvio che quelli siano subordinati a questi, che anche a venticinque anni un giovane giudice diventa, senza la saggezza che si richiede in decisioni del genere, arbitro della libertà e della vita di una persona.
Invece è stato praticamente zitto, gettando le armi al primo vero successo. Evidentemente gli pesa di più la condanna definitiva per il caso Mediaset che quella infamante di avere adescato una ragazzina e cercato di corrompere dei poliziotti. Se fosse stato al contrario sarebbe subito partito lancia in resta dall'assoluzione contro la condanna per affermare le ragioni di una giustizia che non sia priva di certezze.
Sciascia ha visto la giustizia alla stregua di un “ingranaggio”: cadendoci si finisce in balìa di una volontà altrui e astratta, di tipo kafkiano. È quanto succede anche a chi si ammala: il suo corpo è da quel momento nelle mani di altre persone, perlopiù sconosciute. L’ingranaggio è uno strumento che ha un target alto. “A questo mondo - precisa Verga in Guerra di santi - si sa che la giustizia si compra e vende come l’anima di Giuda”. “La giustizia è fatta per quelli che hanno da spendere” gli fa di rimando don Licciu Papa. Insomma, l’ingranaggio è “cosa loro”: in mano ai potenti. È sempre stato così. Fare giustizia comporta infatti averne la disponibilità. Elettra di Euripide va sposa a un contadino perché Egisto sa bene che maritandola a un nobile la metterebbe nelle condizioni di farsi giustizia e ucciderlo. 
Ma la fruizione della giustizia non involge solo la questione della titolarità. La Fontaine esprime in favola un’idea di giustizia intesa in senso inquisitorio. Tutti gli animali con le orecchie lunghe vengono espulsi. Se ne va anche l’asino, al quale un coniglio dice: “Ma tu puoi rimanere perché non hai le orecchie lunghe”. Al che l’asino risponde: “Già, ma se sostenessero che ho le orecchie lunghe, come farei a difendermi?” Pretendere giustizia comporta dunque l’inversione dell’onore della prova e l’instaurazione di un sistema vessatorio che si estende fino anche all’ordalia. 
Il problema è di legge naturale. E se Chesterton dice che i bambini sono innocenti e amano la giustizia mentre gli adulti sono malvagi e preferiscono il perdono, Conrad guarda alla sostanza ontologica e ci intesta un’inopinata immunità: gli uomini possono essere chiamati a rispondere soltanto delle loro intenzioni, perché gli effetti finali di ciò che fanno esulano dal loro controllo. 
Dostoevskij ha lungamente indagato in Delitto e castigo la colpa nella prospettiva della volontà a delinquere, cercando di tenere separati i fatti dalle intenzioni, ma la giustizia non può che accertare i fatti e giudicarne la gravità in rapporto alla volontà di commetterli. Non può dunque mai punire una colpa ma solo un atto. Ma l’uomo risponde a una volontà di potenza nicciana, alle tensioni di un ambiente, a una volontà cosmica schopenhaueriana, non alla propria coscienza né a un imperativo kantiano. 
Nella coscienza confluiscono la propria natura e la propria contronatura e non c’è modo di separarle. Una persona non sa mai il perché di certe proprie azioni e agisce quasi sempre in preda a una volontà esogena. Non esiste una persona veramente compos sui. Non è umano. Kafka ha dimostrato che la porta della legge non si apre mai e che la giustizia non può mai essere giusta perché nessun uomo è pienamente colpevole e responsabile delle proprie azioni. “La giustizia - avverte Sciascia - è un sacco vuoto. Bisogna metterci dentro l’uomo”. Impossibile. Non potendo in concreto penetrare la sfera volitiva dell’individuo, ma dovendosi attenere ai suoi comportamenti, la giustizia in realtà non può non agire che al di sopra di ogni principio di responsabilità. Quello che in sostanza ci saremmo aspettati che fosse la prima piattaforma di un Berlusconi fatto conte di Montecristo e mosso da uno spirito di vendetta - o di giustizia che si voglia altrimenti dire.
Invece l'ex premier ed ex cavaliere, oltre che ex senatore ed ex marito, ha pensato bene - almeno finora - di intestarsi anche l'appellativo di ex mangiagiudici. Invecchiando si diventa saggi. Proprio come un bravo giudice.