domenica 31 agosto 2014

Al premio letterario solo incensurati

I coautori di Malerba Giuseppe Grassonelli e Carmelo Sardo

pubblicato su La Repubblica di Palermo il 30 agosto 2014

Se San Paolo, tornando a Siracusa, intendesse partecipare con le sue Lettere al Racalmare sarebbe respinto perché responsabile di aver massacrato schiere di cristiani? Parrebbe di sì, a stare al codice Agnello (il giurato del premio di Grotte che si è dimesso essendosi accorto della presenza in gara di un autore all’ergastolo): codice da estendere per coerenza a tutti gli artisti maledetti.
Così Caravaggio, redivivo anch’egli a Siracusa, non avrebbe più dalla Chiesa la commissione del Seppellimento, essendo assassino e fuggiasco; e Agostino, “primo nel peccato”, non potrebbe essere ammesso tra i dottori della Chiesa. Su questa via arriveremmo a non avere alcun poeta maudit, da Verlaine a Rimbaud, e a censurare tutte le opere di imperatori e tiranni, Cesare, Aurelio e persino Hitler, che invece leggiamo come fondo di documentazione della nostra civiltà, nonché lo stesso Dante Alighieri che scrive La Divina Commedia da esiliato e ricercato. La stessa Bibbia sarebbe impresentabile con tutti i suoi eroi e patriarchi assassini, a partire da Mosé per risalire fino a Dio stesso.
Se dunque il discrimine fosse l’ideologia o la fede, per cui la legge giusta è quella di chi comanda, Silvio Pellico sarebbe stato un fuorilegge politico tanto tracotante da aver scritto Le mie prigioni e De Sade un depravato degno di miglior forca. Ma la letteratura e l’arte in genere non rispondono alle leggi di Agnello. Croce ha stabilito infatti che etica ed estetica non sono valori scambiabili e che il buono nulla ha a che vedere con il bello. Il vecchio adagio ottocentesco di Giuseppe Giusti per il quale «il fare un libro è meno che niente se il libro fatto non rifà la gente», dando così al romanzo un fine educativo, appartiene a una stagione nella quale la narrativa era vista come eticamente utile per cui, identificandosi l’autore con l'educatore, a contare era questo e non quello. Oggi consideriamo un romanzo secondo canoni di gradimento e vediamo nell’autore l’artista, così un libro (solo sul quale si esprime una giuria, che ignora l’autore) può essere brutto ma mai cattivo.
Gaspare Agnello, autore peraltro di un libretto intitolato Dalla parte di Sedara, cenno dopotutto di accoglimento delle ragioni del lupo o di un dropout qual è il terragno borghese di Donnafugata (eppur convinto che un ergastolano condannato per numerosi omicidi, ancorché compiuti non da mafioso ma da giustiziere in cerca di vendetta per l’uccisione di propri parenti, sia uno scandalo se candida la sua vicenda personale a un alloro), ha inteso non più ripristinare l’Index librorum prohibitorum ma fondare l’Indice degli scrittori al bando, dove vengono proscritti gli autori che ambiscono a un riconoscimento pubblico senza però avere la fedina penale pulita. 
La libertà di espressione ci ha invece permesso di essere persone informate dei fatti. Se, per stare in Sicilia, Tommaso Buscetta non avesse scritto con la penna di Saverio Lodato La mafia ha vinto, la nostra visione del mondo mafioso sarebbe ancora parziale. Così, quanto alla mafia catanese, se il killer Maurizio Avola non avesse parlato con due giornalisti, Roberto Gugliotta e Gianfranco Pensavalli, rivelando quanto abbiamo poi letto in Mi chiamo Maurizio, sono un bravo ragazzo, ho ucciso ottanta persone, poco avremmo saputo della storia di Santapaola. Altri libri, partecipati tutti da giornalisti (come anche Malerba di Giuseppe Grassonelli, quello additato adesso da Agnello, il cui editing è di Carmelo Sardo) hanno contributo a tenere in alto il velo sulla mafia. Ancora Lodato è stato coautore con il pentito Giovanni Brusca di Ho ucciso Giovanni Falcone, Francesco La Licata ha raccolto le dichiarazioni di Massimo Ciancimino in Don Vito e Salvatore Mugno ha curato un libro, Lettere a Svetonio, che è opera, peraltro letterariamente molto interessante, dell’imprendibile Matteo Messina Denaro. Sottotitolo “Il capo di Cosa nostra racconta”.
D’accordo: nessuno di questi libri ha partecipato a un premio letterario. Ma ciò non è dipeso da un divieto che figurasse in uno statuto quanto dagli editori che non li hanno candidati. Mondadori, che per averlo pubblicato ha creduto in Malerba, lo ha invece proposto al Racalmare sottoponendolo così a un giudizio di valore letterario e ritenendo legittimamente insignificanti i documenti personali dell’autore. Che infatti non hanno alcun rilievo nemmeno nel caso non di un autore ma di un personaggio. Ne dà prova lo stesso ispiratore e cointestatario del premio, Leonardo Sciascia, che non si pone alcuna remora di tipo etico quando nel libro da lui preferito, Morte dell’inquisitore, esalta sin dal titolo il gesto omicida del suo protagonista eretico. Lo avesse fatto, non avremmo avuto il saggio. Anche Camilleri non ha di queste riserve e in La presa di Macallè lascia che sia un bambino di dieci anni a diventare assassino.
Alla stessa maniera se Edward Bunker, una vita da fuorilegge, si fosse fatto intimidire dalla sua natura e non avesse inteso scrivere, il crimine Usa non avrebbe avuto la stessa evidenza. Né in Sicilia avremmo avuto Il marchese di Roccaverdina, un omicidio rimasto peraltro impunito, se Capuana avesse supposto di dare un cattivo esempio.