domenica 14 settembre 2014

Segretario e premier a doppia mandata


Il Pd fece una casa del diavolo perché Fini scegliesse tra presidenza della Camera e segreteria del suo partito, ritenendo giustamente le due cariche incompatibili. Non solo il Pd ma tutto il centrosinistra. Oggi nessuno chiede la stessa cosa né a Renzi né ad Alfano.
Che si tratti di incarichi alternativi lo ha dimostrato l'altro giorno proprio Renzi quando ha dichiarato che, sul caso dei compagni di strada emiliani  Bonaccini e Richetti, non intende intervenire. Una posizione assolutamente corretta in veste di premier ma del tutto scorretta e indebita nei panni di segretario. Il quale, come tale, ha l'obbligo di dirimere questioni interne e soprattutto di spiegare agli iscritti e agli elettori se il partito è o non è con i compagni che hanno sbagliato. Renzi non lo ha fatto perché un suo qualsiasi pronunciamento sarebbe stato udito come proveniente dalla bocca del premier anziché da quella del segretario, né in casi del genere può fare una commutazione e avvertire in qualità di chi intenda parlare.
Casi di doppio incarico e di commistione tra governo e partito se ne sono avuti anche nella prima repubblica, Craxi docet, ma in questa rivoluzionaria seconda repubblica sembra diventato ordinario il fatto che chi dirige il partito possa dirigere anche il governo o starci dentro. Una spiegazione viene dal mutamento dei partiti, dalle cui segreterie dipendevano le alleanze di governo e la formazione delle maggioranze. Questo succedeva quando alleanze e maggioranze nascevano sulla base di valori condivisi, di ideologie assimilabili e di programmi che erano la loro pratica attuazione. Oggi è invece possibile, in una nuovo regime di compromesso e di programmi a vista, che il Pd possa stare al governo con il Nuovo centrodestra (basta il nome) perché nessuno si scandalizzi o protesti o si senta insultato. 
Il bello è che questi governi durano e possono anche fare, o pensare, riforme di un certo peso. Per cui, stando così le cose, se Renzi e Alfano dirigono anche i partiti accomunati nel governo, ben meglio, quando peraltro a determinare le riforme è anche un partito come Forza Italia che praticamente è nella maggioranza o nella tolleranza. Ma è questa la politica? Che senso dare al voto che esprimiamo? E sulla base di quali scelte, ideologiche innanzitutto ma anche programmatiche, veniamo invitati a votare? 
In questa situazione di consociativismo indistinto, quasi una concelebrazione, chi si distingue è chi sta fuori la chiesa a bestemmiare. Grillo per esempio. O, in certi casi, la Lega. O Sel. Ponendo così l'elettore a scegliere tra regolare e irregolare, oligarchi e barbari, vecchi e nuovi dèi come nelle età di mezzo. 
La fine delle ideologie accompagna in fondo la fine del postmoderno in un fenomeno unico e nuovo di cui stiamo osservando le prime manifestazioni. Non è un bello spettacolo.