mercoledì 15 ottobre 2014

In principio fu il racconto. E lo è ancora


"In principio fu il logos" stabilisce Giovanni, meglio ancora il racconto: che continua ad essere anche oggi, come è sempre stato, il principio, cioè la misura dei fatti che regolano la nostra vita.Escluso il caso in cui una persona si rivolga ad un'altra, comunicando con essa e fornendole un'informazione non mediata da altre persone o da qualunque mezzo tecnico, non c'è fatto umano che non si produca per via indiretta, ovvero non si determini grazie a un racconto, seguendo questo schema: azione, rappresentazione, reazione. Soltanto se direttamente partecipi a un evento viene meno la rappresentazione e la reazione è una risposta diretta all'azione, come nel caso di un corteo di piazza nel quale io reagisco al manganello di un poliziotto. Per tutto il resto la reazione di ogni uomo è mediata e filtrata dall'organo che lo mette al corrente dell'azione e ne influenza quindi la reazione. 
Uno dei casi più clamorosi fu la caduta del regime di Saddam Hussein, dovuto al racconto, rectius: resoconto in questo caso, che i Servizi segreti fecero al presidente degli Stati Uniti circa una presunta dotazione dell'Iraq di armi di distruzione di massa. Bush fu spinto a invadere l'Iraq sulla base delle informazioni ricevute e non grazie a una presa personale di conoscenza.
Così facciamo tutti. Le nostre reazioni sono dettate dalle rappresentazioni che delle azioni ci vengono fatte attraverso la televisione, i giornali e altri informatori. Milioni di italiani non hanno mai visto di persona Renzi, ma nessuno di loro si sentirebbe impreparato a esprimere un'opinione su una sua iniziativa.
E' dunque la rappresentazione a stabilire la misura della reazione, quindi dell'effetto che la causa intende generare, dove causa prima è la fonte dell'azione. Ne consegue che dipende dalla rappresentazione che si dà dei fatti, cioè dalla manipolazione di essi, da come insomma vengono riferiti e raccontati, l'esito di una qualsiasi azione. Scrive Manzoni ne I promessi sposi che la comprensione di una lettera dipende dall'interpretazione dello scrivano e segretario.
Ancor più tale mediazione invaleva in passato quando paradossalmente i mezzi di comunicazione abilitati alla rappresentazione dei fatti erano del tutto inesistenti o ridotti a meri messi o figure quali il nuncius.  Si poteva così arrivare all'assurdo che Oreste si presentasse alla madre Clitennestra e le annunciasse la morte del figlio spacciandosi per forestiero: il colmo, trattandosi di figure regali le notizie sulla vita delle quali avrebbero dovuto diffondersi con tutta rapidità e ufficialità. Tuttavia ebbe anche nell'antica Grecia una prima applicazione la futura legge giovannea del logos come principio del tutto: nel significato non solo di inizio originario ma anche di causa efficiente, primo motore della vicenda umana.
Chi oggi è dunque in grado di detenere la maggior quantità del flusso di informazioni e quindi di governare il potenziale delle rappresentazioni al fine di ottenere reazioni, è il padrone dei fatti. Se, per fare un esempio, io sono nominato da una squadra di carcerieri unico referente incontrollato di un gruppo di persone tenute prigioniere in una stanza, posso condizionarne il comportamento come anche lo stato d'animo raccontando loro quanto mi pare possa servire a suscitare in loro una reazione a me gradita. La situazione non è diversa di quella in cui si trova un traduttore in un incontro tra due capi di governo: dalla scelta dei vocaboli, dalla sfumatura di certe espressioni piuttosto che di altre può dipendere la reazione dell'interlocutore e quindi il risultato di un vertice. Va da sé che in questo caso è quasi del tutto da escludere che semanticamente, trattandosi di un incontro tra Obama e Putin, quanto dice il primo sia proprio quello che il traduttore riferisce al secondo. Tutto dipende dalla sua preparazione, anche tecnica, dalla forma fisica tenuta in quel momento, dal suo stato d'animo e dalla sua lucidità oltre che dalla sua buona fede e imparzialità.
In larga scala è quanto succede da sempre nel mondo, dove ci si intende e si reagisce sulla base di referenti, portavoce e traduttori. Con l'abnorme differenza rispetto all'antichità che quanto più crescono i mezzi di comunicazione, fra cui oggi si affermano i social network e le email, tanto più è alle fonti di mediazione che è demandata la facoltà di indurre reazioni nel pubblico.
Se dunque è il racconto, come bene intuirono i Greci sacralizzando il mythos, il principio del mondo, chi sappia parlare e scrivere o comunque riferire, detiene un potere superiore, ancor più chi possiede i mezzi di comunicazione necessari a chi sappia parlare e scrivere perché possano esprimersi. Editori da un lato e censori da un altro sono dunque i depositari del logos. Che può essere sì un racconto e quindi la rappresentazione scenica di un fatto ma può anche essere un'interpretazione e cioè l'elaborazione di un proprio convincimento o peggio ancora di una propria opinione. Se sono il consigliere del re posso influire sulle sue decisioni affermando la mia opinione sulla sua sulla base del fatto che sono io a fornirgli nuovi elementi di valutazione. L'interpretazione è la fase più sofisticata della mediazione, è il logos che diventa nomos: cosicché quello che poteva sembrare un primato della letteratura, la capacità cioè del racconto di determinare gli eventi umani, si traduce nel sopruso della filosofia, che è la forza della parola e dello scritto di condizionare gli stessi eventi. Basta, anziché rappresentare i fatti, interpretarli, che è lavoro non dei narratori ma dei filosofi. Non a caso Platone per tre volte provò a Siracusa a ergersi a custode della polis vantando il potere del pensiero. Il suo.