mercoledì 19 novembre 2014

Al di là del bene e del male


Oggi su Repubblica Vito Mancuso prova a spiegare la perdita della fede confessata da Umberto Veronesi dopo i tanti malati di cancro che non è riuscito a salvare. E lo fa finendo per portare ragioni alle sue tesi.
Mancuso risolve la questione ontologica del male nel mondo con la più banale delle argomentazioni: non sono né Dio né l'uomo a determinarlo ma "l'impasto originario di logos e caos", ragione unita a stocastica, che sfuggirebbe a ogni controllo. Lasciando di comprendere se il Logos non sia proprio Dio come vogliono le Sacre scritture, appare inaccettabile l'idea, di natura scientifica, che il senso possa fondersi e confondersi con il non senso perché anche in fisica due sostanze antitetiche finiscono per prevalere una sull'altra.
Mancuso ci dice che la morte innaturale di un bambino è un male se accettiamo che la sua guarigione sia un bene, per cui è da chiedersi non solo chi commetta il male ma anche chi compia il bene. Condivisibile e già detto. Sbaglia però quando per questa via arriva alla domanda: se Dio non esiste da dove vengono allora i mali? Chi li vuole? Domanda mutuata da Severino Boezio che propose una risposta a contrario per provare l'esistenza di Dio. Senonché Boezio visse nel quinto secolo mentre Mancuso appartiene al nostro secolo, quando la risposta è più semplice e scientifica: il male viene dalla natura dell'uomo e dai processi evolutivi e sociali. La risposta è molto terrena. Così come in una prospettiva naturalistica andrebbe trovata la spiegazione a un altro suo interrogativo, figlio di un vecchissimo teorema filosofico della scolastica, qui ripreso da Mancuso: chi ha guidato le mani di Veronesi quando ha salvato un bambino? Dalla scienza, si risponde. E chi ha inculcato la scienza in quelle mani se non Dio? Con questa strategia le vecchie dottrine riconducevano ogni atto umano alla volontà divina per cui nulla esiste che Dio non voglia. 
Oggi però abbiamo altri argomenti: le mani guaritrici di Veronesi sono quelle di un uomo che si è liberamente votato alla scienza, la quale ha potuto creare nel nostro tempo un eccellente oncologo come lui grazie all'evoluzione della medicina e delle ricerche sul cancro. Veronesi deve la sua competenza non a Dio ma agli studi che ha fatto, al suo talento, al suo amore per la medicina e in definitiva alla medicina stessa.
Il male che tollera Dio va invece spiegato come controprova dell'esistenza del bene. Che ha un significato e una sua agibilità se esiste anche il male. Se tutto fosse bene, Dio sarebbe il bene stesso, così come se tutto fosse male sarebbe Satana l'Onnipotente. Ma, come abbiamo già osservato, il bene e il male non possono distinguersi se non negli effetti visibili agli uomini. Nel caso proprio di un bambino che muore di cancro nulla sappiamo se Dio non lo abbia già salvato dieci volte dalla morte tenendolo ancora in vita. E nulla sappiamo perché sconosciamo i fatti che non risultino ai nostri sensi. Niente possiamo dire delle volte in cui, a nostra insaputa, abbiamo evitato di contrarre un virus o un'auto pirata anche solo per un secondo o per aver rallentato il passo. Imputiamo queste circostanze al caso nella nostra veste di atei solo quando non siamo credenti e riconduciamo ogni nostro atto, così come ogni nostra omissione, a Dio. E imputiamo a Dio i mali che subiamo nella vita perché crediamo non che non esista ma che invece esista e che sia però malvagio e insensibile, absconditus. Sicché Veronesi non avrebbe dovuto perdere la fede, ma condannare Dio perché essere cattivo che si spaccia per misericordioso. 
Ma ragioniamo secondo principi umani. Un bambino tempestato di metastasi e destinato alla morte è davvero più pietoso e inaccettabile di un altro bambino che chieda l'elemosina e muoia di fame davanti alle persone che gli passano indifferenti davanti? Certo che no, ma nessuno si chiede perché Dio permetta la miseria che è un male non inferiore alla malattia. La nostra coscienza preferisce credere mostruosa la morte per malattia che non quella per fame. Perché nel primo caso possiamo scaricare ogni colpa a Dio, mentre nel secondo dovremmo prendercela con noi stessi. E questo non ci piace affatto. Quel che ci piace da buoni cristiani è dichiarare solidarietà al prossimo e commuoverci alla morte di un bambino malato ma facciamo un passo indietro se chiamati a rinunciare a qualcosa di nostro, anche un euro, per darlo a chi soffre di un'altra malattia il cui virus siamo noi stessi e sappiamo di esserlo.