venerdì 31 luglio 2015

E il giovane Vittorini stroncò il grande Romagnoli



Negli anni Venti il pubblico del teatro greco non applaudiva gli attori ma la grande triade formata da Tommaso Gargallo, Paolo Orsi e Duilio Cambellotti - le poche volte in cui quest’ultimo si concedeva di andare a Siracusa.
Ma più di tutti era Ettore Romagnoli il divo dei siracusani perché a lui veniva attribuito il merito di avere riportato letteralmente in vita la tragedia greca reinventando non solo la messinscena ma anche le coreografie e le musiche. Era tale l’entusiasmo per il finissimo grecista proveniente da Roma che una folla di fans si raccoglieva ogni volta alla stazione per vederlo scendere dal treno nei suoi immancabili occhiali pince-nez sotto una chiarissima paglietta. Eppure c’erano due buone ragioni perché tanto slancio fosse molto più composto: le sue traduzioni auliche e magniloquenti che trasfondevano i testi, una volta stravolti, in una forma poetica che risentiva non poco dei retaggi dannunziani e che non potevano che incantare ben pochi appassionati, non certo folle mussoliniane; e la sua fama di infallibile iettatore, cosa che a quel tempo poteva ben costituire motivo di deterrenza. 
Appare curioso come tanta gente andasse a riceverlo e tanta altra al suo passaggio o solo a sentirne il nome toccasse ferro. Scrivendo ad Enrico Falqui, capo redattore della “Fiera letteraria”, il diciannovenne Elio Vittorini gli rivela che i guai dei siracusani dovuti alla presenza di Romagnoli “sono innumerevoli: così stamattina un povero decoratore delle scene al Teatro Greco ha perduto una mano per un accidente intervenuto all’apparire del detto Maestro”. La lettera è dell’8 aprile 1927 (l’anno di ripresa delle Rappresentazioni classiche dopo tre edizioni saltate e prima di altri tre rinvii) e Vittorini sbertuccia Romagnoli in negativo quando la città delirava per lui per giustificare la richiesta di poterne parlare male nella sua recensione a Le Nuvole. Evidentemente Falqui gli accorda il permesso se nel numero dell’8 maggio Vittorini è impietoso, stroncando la messinscena e imputando ogni colpa proprio a Romagnoli “per tutto quanto è andato male, come ché non ha voluto comprendere che era suo compito di alleggerire la commedia da ciò che vi resiste di pacchiano, ed anzi aggravato ha il male maggiormente aggiungendo pacchianerie a pacchianerie per proprio conto, come sarebbero a dire certe trovate macchinose”.
Non è che con la tragedia in calendario, Medea di Euripide, e il dramma satiresco aggiunto, Il Ciclope, Vittorini sia più indulgente. La sua penna, intinta in una caustica prosa d’arte fatta per trarre veleno in bello stile, deplora che Medea sia diventata “misteriosa, ermetica, psicologica”, in altre parole novecentesca e meglio ancora dannunziana. La tentazione invalente di modernizzare la tragedia greca non piace al Vittorini che da Il Ciclope ricava “tutt’altro che una impressione di lavoro classico”. Quel che salva nella commedia di Aristofane sono “le gambette delle allegre satirelle” della scuola di euritmica Hellerau diretta da Émile Jacques-Dalcroze, presente anche il mitico Adolphe Appia, scuola di danzatrici che era richiestissima e celebratissima. Vittorini infatti ne rimase folgorato, definendole “assai gradevoli ai nostri sensi”. Quell’anno fu portato in scena un secondo dramma satiresco (in uno spirito che rivolgeva il modello ateniese per il quale tre tragedie venivano integrate da una commedia o da un dramma satiresco), I satiri alla caccia di Sofocle, e tale fu la delusione de Le Nuvole che Vittorini ammise di non aver potuto gustarne “le deliziose grullerie”, trovando che esso “per le danze, per la musica, per la mimica ed il brio degli attori era riuscito un insperato ed innocente capolavoro, che mantenendo ancora il gusto frivolo d’operetta del Ciclope forse lo superava in parecchi punti per delicatezza e movimento”.
Un così determinato Vittorini ad appena diciannove anni (che pretende di dare suggerimenti al comitato siracusano di organizzare gli Spettacoli non rimettendosi “al capriccio di taluni barbassori ma esaminando attentamente il programma prima di accingersi all’impresa” e che oppure ha lavorato come segretario all’Istituto del dramma antico prima di essere esonerato perché cambiava le lettere del presidente) può sembrare inatteso se non fosse lo stesso che non esita a scrivere a Falqui per chiedergli di spedirgli una tessera per entrare gratis al teatro, ma badando bene che non riporti la qualifica di “corrispondente da Siracusa” bensì di inviato speciale da Roma. Otterrà una via di mezzo: i suoi due articoli al vetriolo usciranno con la dicitura “nostro servizio particolare”.