mercoledì 12 agosto 2015

Gli affari di Verga che non piacquero a Sciascia



Sciascia era mafioso, come egli stesso ammetteva, nel senso che parteggiava per gli scrittori siciliani, difendendone anche l’immagine. Ne diede prova nel 1985, ma si è saputo solo adesso.
Il pittore Bruno Caruso gli fece leggere due lettere inedite (avute in regalo dall’antiquario Albert Molayem che le aveva acquistate in un’asta indetta alla morte di Renato Attanasio, antiquario come lui) perché le pubblicasse con un suo commento, ma se le vide restituire con una chiosa sibillina: «Non ci facciamo una bella figura». Le lettere erano di Verga e De Roberto ed erano indirizzate alla stessa persona, Carluccio Moncada, cugino dell’autore dei Vicerè

Giunto oggi a 88 anni, Caruso ricorda che rimase così colpito della risposta di Sciascia da non avergli nemmeno chiesto chi avrebbe fatto brutta figura e perché. Né fino ad oggi lo ha capito. «Che voleva dire? Che io e lui non avremmo fatto bella figura a pubblicarle o lui a commentarle? Oppure saremmo stati tutti noi siciliani a perderci la faccia?» si domanda con immutata curiosità. Non resta che leggere le lettere. E prima ancora ricostruire la vicenda.
Verga non ama il cinematografo né le film (come, al femminile, sono chiamate le pellicole a cavallo dei due secoli), perché ritiene che minino la “probità letteraria” e pur, cedendo a scrivere soggetti tratti da sue novelle, non si reputa adatto a sceneggiarle per cui diffida a far sapere che c’è la sua mano. Tuttavia riconosce che fruttano molto denaro, sicché vende per 500 franchi (da dividere con la mediatrice, madame Demboska) i diritti della sua Cavalleria rusticana alla Association cinematographique des artistes dramatiques, una casa di produzione di Parigi dove nel 1909 Verga si reca con il fratello per concludere l’affare. 
Trovandosi nella capitale del mondo di allora, Verga approfitta per farsi ritrarre dal celebre fotografo Nadar, il quale gli regala una foto di Victor Hugo. Quel ritratto sarà poi acquistato dal libraio catanese Fortunato Grosso il quale, molti anni dopo, lo regalerà a Bruno Caruso per farsi forse perdonare il possesso di una dozzina di suoi disegni destinati ad illustrare una Storia della colonna infame che non sarà mai stampata.
L’adattamento cinematografico realizzato dalla Acad non piace però a Verga, ma forse non è la delusione a spingerlo a rivolgersi all’amico De Roberto nel tentativo di riavere indietro i diritti, così da rivenderli ad altri. De Roberto accorre premuroso e generoso come sempre. Contando a Parigi un cugino, Charles Moncada, che è ben addentro all’ambiente cinematografico, concordano di scrivergli due lettere. Li si può quasi sentire. 
«Giovanni, scrivigli prima tu e fagli capire le tue intenzioni. E subito dopo gli scrivo io perché si muova presto e bene». «Intesi, io gli annuncio che sono pronto a restituire i 500 franchi e in più mi dico disposto a pagare un premio extra, senza però precisare la cifra, mentre tu, Federico caro, gli dici quale potrebbe essere l’extra, sempreché gli venga richiesto».
Così il 24 marzo 1914 Verga scrive a Moncada confessando di aver ceduto alla Acad “il diritto esclusivo per tutti i paesi” dell’adattamento senza precisare un termine, quindi per sempre; nondimeno, avendolo la casa di produzione sfruttato per oltre quattro anni, senz’altro non troverà alcuna difficoltà a restituirne i diritti, una volta che avrà avuto rimborsati i soldi spesi e ottenuto anche “qualcosa di più, se necessario”. 
A questo punto De Roberto fa la sua parte e svela il patto con Verga perché si serve degli stessi argomenti. Esordisce scrivendo: «Caro Carluccio, non ho bisogno di dirti che l’affare di cui ti scrive Giovanni Verga è affare nostro». Per continuare con tono appunto affaristico: «Cerca codesto signor Aguel (o chi lo ha sostituito nella direzione della società) e conduci diplomaticamente le trattative. Dopo più di quattro anni codesti signori avranno finito di sfruttare il soggetto e non avranno più niente da fare della pellicola: dovrebbero perciò essere ben contenti di ricevere quanto pagarono per diritti d’autore. Se tu riuscissi a ottenere a questo patto la risoluzione del contratto Verga ne sarebbe ben contento. Ma se trovassi difficoltà allora potrai offrire qualche altra cosa, nei limiti che tu stesso giudicherai convenienti. Potrebbe anche darsi che l’Aguel (o chi per lui, anzi per la società) chieda lui stesso il premio: allora, prima di prometterlo, scrivine a Verga per farne sapere l’entità. Fino a 500 lire il nostro amico ti dà facoltà (s’intende 500 lire di premio e altre 500 lire della sostituzione). Supera te stesso in questa occasione. Te ne sarà gratissimo anche il tuo aff. cugino Federico».
Sciascia legge le due lettere e si rifiuta di occuparsene temendo una brutta figura. Un timore che chissà che non gli nasca dal seguito della vicenda. Dopo la guerra Verga riottiene infatti i diritti e li rivende compiendo un’operazione commerciale che scatena una guerra decennale tra due produttori italiani che, vantando entrambi la titolarità degli stessi diritti, mandano nelle sale due film diversi di Cavalleria rusticana. 
È più che evidente che nel cinema Verga non avrebbe dovuto mettere piede, com’era dopotutto nelle sue intenzioni originarie. E con lui neanche De Roberto. Facendolo si sono meritati la smorfia di Sciascia, che nelle due parole dette a Caruso li ha bollati come affaristi e faccendieri. Ma intendendo proteggerli dal biasimo.