Quali misteri inesplorati nasconde il Seppellimento di Santa Lucia, la tela del Caravaggio esposta alla Badia di Siracusa e destinata alla chiesa di Santa Lucia alla Borgata?
Un’osservazione attenta, mai fatta, suggerisce l’ipotesi che il Merisi abbia inteso colpire la Chiesa vendicandosi del trattamento subìto. Caravaggio realizza l’opera nel 1608, appena arrivato a Siracusa da Malta, dalle cui prigioni è evaso quattro mesi dopo essere stato nominato “cavaliere dell’ubbidienza” nell’Ordine di Malta. L’evasione gli è costata l’espulsione dall’Ordine, provvedimento che ha rinfocolato in lui una fonda avversione contro la Chiesa cui i Cavalieri si rifanno. Alla prima occasione, costituita da una commissione del Senato siracusano, Caravaggio si prende la rivincita.
Un’osservazione attenta, mai fatta, suggerisce l’ipotesi che il Merisi abbia inteso colpire la Chiesa vendicandosi del trattamento subìto. Caravaggio realizza l’opera nel 1608, appena arrivato a Siracusa da Malta, dalle cui prigioni è evaso quattro mesi dopo essere stato nominato “cavaliere dell’ubbidienza” nell’Ordine di Malta. L’evasione gli è costata l’espulsione dall’Ordine, provvedimento che ha rinfocolato in lui una fonda avversione contro la Chiesa cui i Cavalieri si rifanno. Alla prima occasione, costituita da una commissione del Senato siracusano, Caravaggio si prende la rivincita.
Il tema è del tutto inedito: anziché il martirio, la scena propone il successivo seppellimento. Se infatti la precedente tela, Decollazione di San Giovanni Battista, dipinta pochi mesi prima a Malta, ritraeva nei modi più crudi e nello stesso scenario buio e vuoto la decapitazione del profeta, a Siracusa Caravaggio rappresenta invece l’ultimo atto del “processo” a Lucia, così da escludere - a differenza che nella Decollazione - il carnefice, il giudice e gli astanti, e da radunare piuttosto le parti addolorate e gli esecutori, cioè i due scavatori, nonché un ufficiale in armatura rinascimentale e accanto a lui il vescovo. Ancorché il “quatro della sepultura”, come lo chiama il Senato nel contratto, venga commissionato per rappresentare il dolore della città verso la sua patrona, Caravaggio adombra in esso ben altro tipo di sepoltura: quello della Chiesa. Osserviamo attentamente la tela.
La figura principale, dopo Santa Lucia, è il vescovo. Che appare però defilato e immotivatamente nascosto nell’ombra mentre al centro vediamo in piena luce i parenti disperati, con le mani in frenetico e le espressioni sconvolte, raccolte attorno a un giovane molto composto che è un diacono. Il vescovo sta parlando e alza la destra in un atto che sembra benedicente ma che tale non è perché la mano è aperta nel gesto di voler fermare lo scavo e non in quello profilato dell’estrema unzione o del segno della Croce. Si sta invece rivolgendo agli scavatori, uno dei quali (quello cui più facilmente può giungere la sua voce nella concitazione del momento) alza infatti la testa da terra per ascoltarlo, attento e riverente: rivelando così di assomigliare moltissimo al gran maestro dell’Ordine che ha fatto arrestare il pittore, Alof de Wignacourt, al quale, nel reproposito del Caravaggio, il prelato parla.
Ma cosa gli sta dicendo? Qualcosa certamente di terribile, se un uomo con la barba, alle spalle della schiera, ha sentito e riferisce a due persone accanto, una che gli presta orecchio mentre porta un panno al volto e l’altra che si gira a guardarlo: probabilmente dice loro quanto ha sentito dal vescovo. Accanto all’uomo si intravede una figura con in mano un’alabarda, forse un soldato, che guarda spiritato il vescovo. Sono queste le sole persone, oltre allo scavatore, che evidentemente hanno ascoltato bene, in un coro di lamenti e pianti, tra gli strepiti disperati e i rumori delle pale, le oscure parole del vescovo.
Ma, appunto, cosa hanno sentito? Se, come si è supposto, il vescovo intende fermare gli scavatori, non è eccessiva la loro reazione e forse ingiustificata, anche quando abbia pensato a un diverso luogo per il seppellimento meno spoglio e sinistro? Ma se è così, essendo presente un rappresentante dello Stato, non spetta semmai a lui dare l’ordine di interrompere lo scavo?
Una possibile risposta è nell’atteggiamento di assoluta impassibilità del diacono posto al centro con addosso un equivoco mantello rosso e una più equivoca espressione accigliata e severa. Non può non aver sentito il vescovo, essendogli più vicino dello scavatore, oltre che sulla stessa linea, ma rimanendo estraneo (mentre a capo chino guarda il cadavere: come per verificarne lo stato più che per compiangerlo) non fa pensare che conosce già l’opinione del vescovo? Quale opinione?
Guardiamo meglio il diacono. Tiene le mani intrecciate, una posizione che nell’iconografia greco-latina e medievale è simbolo di meditazione e più particolarmente di sofferto autocontrollo, ma anche segno di volontà omicida. Le stesse mani intrecciate sono riscontrabili infatti nell’affresco di Medea che medita di uccidere i figli esposto al Museo archeologico di Napoli. Nel Seppellimento le mani del diacono sono rivolte con le palme in basso, esprimendo un flebile gesto di preghiera ma anche e meglio un atto di rifiuto e di distacco, essendo puntate contro il corpo senza vita della martire nel gesto convenzionale dell’accettazione o in quello del distacco. Ma anche quando il diacono fosse raccolto sul sacrificio di Lucia, cosa ha mai da meditare anziché contrirsi? E perché pregare in maniera così estranea e ufficiale, quasi a volere compiacere appena i presenti? In realtà, tutta l’arte occidentale raffigura il gesto dell’accettazione con il palmo aperto della mano rivolta all’oggetto accettato o al soggetto annunciatore.
Ma allora, se il diacono sembra fare da segretario al seppellimento, il vescovo esprime forse un consenso che, suscitando una reazione impetuosa e venendo davanti a un’autorità civile, riguarda la condanna anziché il seppellimento? Una mostruosità, è vero. Ma uno come Caravaggio, nelle condizioni di spirito in cui si trova a Siracusa, può concepire davvero un simile eccesso. Così, consegnata la tela, mentre il committente vede in quella mano vescovile alzata un atto di benedizione e leva lodi all’opera, Caravaggio se la ride e si prepara lesto a lasciare Siracusa, a scanso di un’interpretazione meno letterale del suo capolavoro.
Fra gli altri possibili interrogativi, uno riguarda il motivo perché Caravaggio abbia scelto un luogo chiuso che più che una catacomba cristiana ricorda una latomia pagana e più esattamente quell’Orecchio di Dionisio tanto caro all’artista da essere stato chiamato così proprio da lui? Non è del resto proprio all’Orecchio di Dionisio che l’ambiente in realtà assomiglia per il colore e l’alta parete di pietra levigata? E perché una “sepultura” così umile e stridente con la sontuosa statua argentea inaugurata solo otto anni prima?
Nessuno si è mai fatto in oltre 400 anni domande del genere sicché la tela è oggi esposta in chiesa e in un’altra chiesa lo rimarrà. Eppure è ben ipotizzabile che il proposito di Caravaggio fosse proprio quello di paganizzare la Chiesa ambientando la sepoltura di una sua fulgida martire in una specie di campo del vasaio, una terra straniera, pagana appunto: una Chiesa, quella del suo tempo, collusa e corriva con le sfere politiche, come aveva verificato per ultimo a Malta. Ancor più Caravaggio può essere stato istigato dal fatto che la Chiesa siracusana era celebrata come la prima sorta in tutto l’Occidente. Quale migliore occasione per muoverle un attacco violento e mascherato?