giovedì 8 aprile 2021

Capote a Taormina, colazione a Fontana Vecchia

 

Articolo uscito il 3 aprile 2021 su la Repubblica di Palermo


Sul treno in partenza il 3 aprile 1950 da Catania per Taormina c’era anche Truman Capote, in viaggio con l’“uomo” della sua vita, Jack Dunphy, anche lui scrittore e omosessuale, e con Kelly, un terrier particolarmente vivace che fu causa dello sgradevole impatto avuto con la Sicilia, dove almeno da novembre il ventiseienne autore di Colazione da Tiffany (le prime quaranta pagine nate a Taormina dopo L’arpa d’erba) scriveva agli amici di volere «disperatamente» andare a vivere. «A causa sua – farà sapere il giorno dopo a Andrew Lyndon, filmmaker gay – ci hanno costretto a scendere dal treno e abbiamo dovuto aspettare cinque ore in quella specie di Pittsburgh siciliana prima che un carro bestiame carico di contadini acconsentisse a farci salire a bordo insieme alla nostra belva. Tutti gli italiani sembravano terrorizzati a morte dalla dolce faccina di Kelly».
Presa dimora a Fontana Vecchia, a quel tempo nella campagna sopra Taormina, è però la sua faccina di ragazzo efebico ed esile a suscitare non terrore ma curiosità, tale che i taorminesi lo battezzano “cristianeddu” e le bambine che giocano al fondo della strada gli danno la baia. «Mi stanno facendo impazzire – si legge in una delle settantasette lettere col timbro di Taormina che fanno parte dell’epistolario completo pubblicato da Garzanti in È durata poco la bellezza (pp. 602, euro 28). - Perché mai pensano sempre che anch’io sia uno di loro?». L’impressione non poteva in realtà essere diversa a immaginarlo mentre va a piedi in calzoni corti all’ufficio postale (che diventa il suo ritrovo più assiduo e dove chiama “Niente” l’anziano impiegato cui chiede ogni volta se c’è posta) e si «trascina» lungo un percorso accidentato e scosceso «per poi tornare indietro arrancando».
La sua impressione su Taormina era però entusiastica, trovandola sin dall’inizio «persino fin troppo spettacolare». Se ne innamorerà come mai per altri luoghi («Questo posto mi piace un sacco e so che mi mancherà terribilmente» scriverà un anno dopo al fotografo inglese Cecil Beaton, habituée di Taormina e anche lui “così”, l’epiteto che usa per indicare i “diversi”) e andrà definitivamente via solo nell’estate del ’52, anche perché preoccupato per il «clima di guerra così buio» sorto tra Usa e Russia, nel convincimento che «gli americani farebbero meglio a stare nel proprio paese», sorpreso dell’atteggiamento dei siciliani la mattina quando da Fontana Vecchia sente sparare e pensa ai russi: «Nessuno qui sembra credere che ci sarà una grande guerra: in realtà non gliene importa niente – sono davvero apatici». Apatici e atipici: «Nei caffè gli uomini ballano tra loro sulle note di una chitarra, i bambini siedono insieme alle pecore nei campi pieni di fiori selvatici e suonano flauti in stile pan».
Ma il suo maggiore interesse è il pettegolezzo sul jet set internazionale sul quale è ghiotto di nuove indiscrezioni ma ne è anche prodigo. A Lyndon rivela quanto è successo a Donny Windham (scrittore e amico comune, arrivato da due mesi a Taormina e andato via «disgustato» perché sul punto di «venire linciato dai marchettari per aver dato i loro nomi alla polizia» dopo aver avuto la stanza depredata di soldi e vestiti «da uno dei tanti tizi che rimorchia») e gli ingiunge: «Ho promesso di non parlarne, perciò tu non farlo». Ma lo ha già fatto lui anche con Phoebe Pierce, la poetessa che avrebbe potuto essere la sua donna e che chiama “diavoletta”. In un’altra occasione raccomanda a William Goyen, altro scrittore così, di tenere per sé quanto gli rivela su Bob Horan, poeta che tenta il suicidio a Taormina per essere stato lasciato dal compositore Gian Carlo Menotti e che Capote ospita in casa finché lo accompagna a Milano per consegnarlo proprio a Menotti: sennonché ha già esortato il critico letterario John Malcom Brinnin, messo a conoscenza, di non parlarne con nessuno e ha spiattellato tutto sia a Lyndon che a un ennesimo scrittore, Leo Lerman oltre che al suo compagno, il disegnatore Gray Foy. Dell’attore gallese Emilyn William e della moglie così scrive a Beaton: «Ti prego di non dirlo a nessuno, perché non avrebbero difficoltà a individuare la fonte, ma è stato loro chiesto di lasciare l’albergo, qui; li hanno buttati fuori, insomma. Non ne conosco il motivo, a dire il vero, e quanti invece lo sanno si mostrano singolarmente reticenti».
Non mancando nemmeno di malignare sulla vita di Taormina nella sua stagione più mondana e trasgressiva, scrive a Windham che “la Pantera”, un bellimbusto della specie «qualcosa di Davvero Notevole», «non sfila più per la spiaggia: è rimasto coinvolto in un grosso scandalo cercando di ricattare uno degli ospiti di Gayelord Hauser» (noto nutrizionista dell’epoca) e ancora che «Chico il calciatore ha iniziato a prostituirsi e, secondo gli interessati, è assolutamente disponibile per un’escursione alla grotta». Di André Gide riferisce beffardo a più amici che se ne sta il pomeriggio dal barbiere a farsi cospargere il viso di schiuma da barba dai ragazzini ai quali dà appena venti centesimi.
Lui invece ha comprato a Graziella, la ragazza assunta come cuoca e domestica, un vestitino nuovo giacché l’ha vista sempre con uno, che lei ha però continuato a indossare spiegandogli come quello regalato dovesse tenerlo per le feste: sconcertandolo non meno di quando gli spunta con un occhio nero e un braccio bendato per una coltellata ricevuta dal fratello, furioso perché lei va spesso in spiaggia, motivo per cui Capote commenta che «sotto sotto gli italiani non sono altro che negri»; ma rivelandosi il più credulo dei siciliani quando, sentendo di un ragazzo assalito da un lupo mannaro e credendo a Graziella che si dice a conoscenza di altri episodi avvenuti in passato, conclude: «L’opinione generale è che non abbiamo nulla da temere, almeno fino alla prossima luna piena». In verità, Capote non ebbe granché modo e tempo per conoscere bene la Sicilia se nel suo “appunto di viaggio” su Fontana Vecchia, esaltando la precocità della primavera, vedeva i fichidindia in germoglio e scriveva che «persino il brutale cactus mette teneri fiori».