Articolo uscito su Libero giorno 11 marzo 2023
L’erede di Camilleri è la siracusana Cristina Cassar Scalia, la madre di Vanina Guarrasi, vicequestore a Catania, giunta con Il re del gelato (Einaudi, pp. 144, euro 16) alla sua settima inchiesta: la sola nella quale il primo capitolo non sia occupato dal ritrovamento fortuito di un cadavere e il secondo dalla telefonata dell’ispettore Spanò che informa la scostante, irriverente e tanto umana Vanina. La poliziotta palermitana stavolta appare, al contrario, sin dall’inizio e viene svegliata di soprassalto esattamente come capitava a Montalbano, del quale non è che una copia perfettamente ritagliata. L’inversione di abbrivio è forse dovuta al fatto che si tratta di un caso minore perché relativo a un supposto avvelenamento di avventori di gelatorie (alla stessa maniera che nel camilleriano La pista di sabbia dove il commissario si trovava a indagare appena su un cavallo morto) che poi però si inerpica verso inopinati sviluppi non solo con più di un omicidio ma pure con spacciatori di droga, boss mafiosi e figli mostri entro un pot-pourri di inverosimiglianza e grovigli.
La premiata dirigente della sezione Reati contro la persona della Mobile etnea rimane comunque fedele al suo modello maschile. Ragiona e parla come Montalbano (“Questo potrebbe significare due cose…”, oppure “Le possibilità sono tre…”); ama la tavola forse più di lui; ha in odio promozioni e trasferimenti; frequenta una trattoria d’elezione il cui premuroso titolare non si chiama Enzo ma Nino, epperò è lo stesso tipo; vive da sola in una sorta di Marinella che è Santo Stefano, una località fittizia che sta agli altri Comuni dell’hinterland catanese, tutti reali, come Vigàta alla provincia agrigentina; pavesa modi spicci anche con i suoi collaboratori, tra i quali ne rimprovera e bistratta uno, il sovrintendente Nunnari, che ha il vizio degli indovinelli, è alquanto stravagante e goffo sicché mutua da una parte l’ispettore Fazio e da un’altra anche Catarella; ed è, se non basta, insofferente nei confronti del sostituto procuratore Vassalli (“Un metro e sessantacinque, pancia prominente, capelli sale e pepe”), tale da ricordare senz’altro l’intolleranza di Montalbano verso il sostituto Tommaseo sommato al questore Bonetti-Alderighi, entrambi preoccupati come Vassalli dell’intangibilità dei potenti. In Spanò è poi facilmente riconoscibile l’efficienza di Fazio nonché il grado di Augello mentre nel vice dirigente della Scientifica Cesare Manenti (“un cretino patentato”) si profila en travesti la figura dell’ostico Arquà.
In sostanza non ci sarebbe stata Cassar Scalia se non ci fosse stato Camilleri, che ha reso canonico l’uso del dialetto e introdotto nel poliziesco l’elemento comico non tanto nei modi dei personaggi quanto nel linguaggio dell’autore. E Cassar Scalia abbonda nel rialbeggiare modi di dire e vocaboli della parlata catanese, restituendone lo spirito più salace ma anche gli stereotipi più corrivi, come la differenza stucchevole tra gli arancini etnei e le arancine palermitane.
Orfani di Camilleri, i lettori si sono insomma raccolti in massa attorno a lei, ben attenta a non tradirne lo spirito leggero, lo stile elementare e tantomeno la struttura narrativa. Anche in Il re del gelato infatti la soluzione del caso (che avviene camillerianamente grazie all’intuito: alla Maigret, antecedente di Montalbano, e non alla Sherlock Holmes, attraverso cioè la scoperta delle prove, cosa che comporterebbe la presenza dei lettori sulla scena) viene data dalla stessa Guarrasi quando alla fine relaziona ai superiori anch’essi ignari delle sue mosse. E, come nei precedenti episodi, la trama appare buona per una puntata da serie televisiva di facile presa, ma difficilmente capace di essere memorabile.