giovedì 9 ottobre 2025

I biografi imbecilli di Piperno

Recensendo una biografia di Balzac, Alessandro Piperno (direttore dei Meridiani Mondadori e docente di Letteratura francese a Tor Vergata, mica nessuno) così scrive su “La lettura” del 5 ottobre: “Ciò che troppo spesso rende noiose e inservibili le biografie letterarie è l’incapacità di chi le scrive di stabilire connessioni proficue tra tranche de vie insignificanti e opere sublimi. Le scorri incuriosito, e quasi a ogni riga ti vien voglia di sbadigliare. E intanto non puoi fare a meno di chiederti: davvero questo imbecille era un genio?”.
Le “connessioni proficue” dovrebbero essere quelle, indispensabili per lo studioso romano, che consentano al lettore di elevare al rango di capolavoro - o di libro riuscito, per dirla con Vittorini – quel romanzo che sia pari a una vita “narrabile” (categoria di Américo Castro) del suo autore. Per Piperno l’equazione è insomma questa: autore dalla vita che appaia un romanzo uguale a romanzo che sia degno dell’autore. Il quale deve fare però qualcosa in più: rendere “tranche de vie insignificanti” capaci di sostenere “opere sublimi”. Se non è capace, lui risulta noioso e la sua biografia da considerare inservibile.
Dunque, ricapitolando: se per Piperno un autore ha avuto una vita ordinaria, grama e anonima (che so: Tomasi di Lampedusa, Franz Kafka, Jane Austen, Emily Dickinson, Virginia Woolf, Jerome D. Salinger, Thomas Pynchon, Gesualdo Bufalino, Leonardo Sciascia… - bastano per avere un’idea?) ed è di conseguenza uno sfigato, perché bisogna riempire la propria vita, farsi un nome e darsi uno storytelling per scrivere bene, non può creare un bel romanzo, giacché se putacaso gli capita di farlo chiunque è autorizzato a pensare che sia un imbecille.
Nello stesso articolo Piperno cambia carreggiata, ma rimanendo sulla stessa strada: “Poiché l’interesse suscitato in noi dalla vita di Balzac non è in alcun modo separabile dall’incantesimo esercitato dai suoi romanzi, è da lì, da quel misterioso viluppo, che occorre partire. Se è vero che le biografie migliori sono quelle che danno conto di quel nucleo segreto che chiamiamo ispirazione, si può dire che quella di Fiorentino [l’autore della biografia, nda] sia davvero riuscita”. Al di là della verbosità che è propria del linguaggio di Piperno, si spera che volesse intendere non l’ispirazione del biografo, quanto l’altra dell’autore che la riverberi nel suo romanzo, per modo che Fiorentino avrebbe scritto una bella biografia, “riuscita”, perché ha saputo dare conto del “nucleo segreto” che Piperno ha appena indicato nel “misterioso viluppo” costituito “dall’incantesimo esercitato” dai romanzi di Balzac. Mamma mia.
Ora bisogna fare a capirsi: è l’autore che deve essere pari al suo romanzo o è il romanzo che deve essere talmente ispirato da svelare l’autore? Posto che non è mai l’ispirazione dello scrittore che influenza il romanzo, ma lo spirito dello stesso autore (per cui Kafka scrive di angosce e ossessioni perché nella sua misera vita di impiegato è preda di queste turbe) unito alle sue conoscenze e all’esperienza, la dottrina strutturalistica, tramontata non perché confutata ma per avere affermato i suoi principi, ha dimostrato che un romanzo, quale che sia il genere, non va mai giudicato alla luce del suo autore. Cioè non va prima conosciuta la vita dello scrittore per leggere un suo libro, perché la presenza dell’autore nella formazione del romanzo e nel suo “nucleo segreto, combinato con il “misterioso viluppo” è del tutto insignificante. Se così non fosse non avrebbero ragione di essere pubblicati libri sotto pseudonimo o anche anonimi. Elena Ferrante è alla fine una poveraccia, rectius un’imbecille.
Eppure Piperno, esperto di letteratura francese, dovrebbe conoscere le teorie del francese Roland Barthes sulla morte dell’autore (titolo di uno suo libro che ha fatto scuola) e soprattutto dovrebbe conoscere i rivolgimenti della temperie naturalistica, compreso il vagheggiamento di Gustave Flaubert di scrivere un romanzo “come se fosse scritto da solo”, arrivati fino al credo dell’“impersonalità” professato da Giovanni Verga.
A dare credito ai postulati di Piperno si dovrebbe altrimenti finire per ritenere a lui stesso dannosa una biografia letteraria sulla sua attività, come di qualsiasi scrittore vissuto spericolatamente, a meno di formulare l’ipotesi inversa, molto più concreta, per cui un autore dalla vita à la Balzac che dia un’opera mediocre induca a sbadigliare e chiedersi: davvero questo genio era un imbecille?