Secondo una convenzione stipulata tra l’Assemblea regionale siciliana (il corrispettivo del Consiglio regionale) e il Banco di Sicilia, i deputati regionali (che già percepiscono un’indennità mensile netta superiore ai diecimila euro e che forse per questo non si chiamano «consiglieri», come succede altrove e in un volgare Consiglio comunale, ma «parlamentari») possono oggi godere non solo di tassi agevolati del 2% per l’acquisto della prima casa e di sussidi per funerali e sepoltura, ma possono accedere anche a un mutuo fino a 300 mila euro per acquistare, in alternativa alla casa, anche locali per la propria segreteria politica.
Sorprende non tanto il benefit della prima casa (che d’altronde pochi parlamentari davvero possono ottenere, contandosi quanti stanno in affitto) quanto quello della segreteria politica, perché se in caso di morte o di inelezione è giocoforza che la prima rimanga proprietà del mutuario che continuerà a viverci, che ne sarà invece della segreteria politica? Per salvaguardarne la destinazione d’uso, passerà di proprietà, insieme col mutuo, al successore all’Ars oppure potrà essere riconvertita in abitazione dal titolare del mutuo e data quindi in locazione o addirittura in vendita? Se così fosse ogni deputato proprietario di una prima casa avrebbe facile modo di averne una seconda come se fosse la prima: cosicché, essendo un manipolo quanti non sono soggetti Ici, viene assicurata a tutti i deputati la possibilità di farsi una bella segreteria politica destinata a diventare un’altrettanto bella dimora abitativa. Strategie di teste d’uovo siciliane, ispirate magari alla presunzione che una volta eletti parlamentari regionali si abbia diritto a un titolo a vita e con esso a tutte le guarentigie. Del resto non c’è deputato regionale che in Sicilia, anche vent’anni dopo essere uscito di scena, non abbia diritto a essere chiamato “onorevole”.
Questione in realtà di disponibilità di fondi e di vocazione a dissiparli. Da anni ormai la Sicilia occupa le prime pagine dei principali quotidiani in tema di sperpero di denaro pubblico nei modi più impensati e insensati. L’ultimo è forse il finanziamento per circa 13 milioni della soap opera “Agrodolce”, una coproduzione Rai-Regione siciliana che registra ascolti minimi, tale da dovere essere subito soppressa, e che la Regione siciliana vuole continuare a finanziare: non per fare cultura o guadagnare meriti nel campo dell’invenzione cinematografica ma (come osserva il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello, lo stesso che si è fatto una fama e una posizione anche come presidente del Banco di Sicilia minacciando l’espulsione degli imprenditori che non sappiano, da soli e per conto loro, dire no al pizzo) per salvare posti di lavoro, cioè quelli delle comparse e delle maestranze, qualche centinaio di persone che evidentemente non sono state avvisate che non c’è mai stata produzione cinematografica al mondo che non sia a termine. Che forse la manovra, tutta siciliana, sia nel senso di fare di comparse e attrezzisti di “Agrodolce” delle figure da inserire col tempo nei ruoli della Regione? Saranno specializzati di fiction, un settore nel quale la Regione siciliana solo ora sta scoprendo di avere delle ambizioni. Che altri chiamerebbero più esattamente nuovo filone occupazionale secondo le modalità della Lombardo Intrerprise. Perché se la Regione siciliana è del tutto incompetente in fatto di industria cinematografica, eccelle invece su ogni ente pubblico al mondo in materia di moltiplicazione del lavoro, sconfessando una teoria centrale del diritto del lavoro: che non si divide ma si accresce.