lunedì 3 marzo 2014

Grasso a disposizione di Provenzano. E Camilleri lo censurò





Nell’aprile del 2007 Feltrinelli pubblica Pizzini, veleni e cicoria, scritto a quattro mani dall'allora procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso e da un altro siciliano, il giornalista de "La Stampa" Francesco La Licata.
Le quattro mani sono in realtà due voci, trattandosi di una lunga intervista. Il capo dell’antimafia racconta il suo incontro, definito “fugace, quasi una presentazione formale”, con il capo della mafia, avvenuto nella questura di Palermo la mattina dell’11 aprile 2006, giorno della sua cattura. «Stavamo entrambi in piedi» ricorda Grasso «e mi è venuto l’impulso di chiedergli se avesse bisogno di qualcosa, come una sorta di atto dovuto». La Licata non lo interrompe. Non gli dice «Procuratore, ma che sta dicendo? Come, un atto dovuto?! Perché mai?». Lo lascia continuare. 
E Grasso seguita: «Sapevamo delle sue non buone condizioni di salute, dunque gli ho chiesto: “Cosa posso fare per lei?”»: come se toccasse a lui poter fare qualcosa, quale “atto dovuto”, per il boss ricercato da 43 anni. Ci si aspetta che La Licata dica parole del tipo “Una domanda alquanto subdola per il capo di Cosa nostra, perché proveniente da un magistrato”. E in effetti leggiamo queste parole ma attribuite nel libro allo stesso Grasso, che appare come colto improvvisamente da un atto di risipiscenza, quasi a dirsi: io, magistrato, dovrei sentire di dover fare qualcosa per costui che è un capomafia? Ma invece apprendiamo che Grasso è mosso da un impulso naturale. Fa la domanda e Provenzano ringrazia. Ha bisogno di una puntura contro l’ipertrofia prostatica sicché Grasso provvede a fare chiamare un medico. Dopodiché La Licata gli chiede se gli «è venuto in mente di fare un qualche sondaggio per saggiarne la reazione?». Domanda essa sì subdola prima che confusa.
Che sondaggio deve fare Grasso? E che reazione dovrebbe mai avere Provenzano se non quella che ha già avuto, cioè di gratitudine? La domanda sembra piuttosto concordata perché Grasso possa fare una rivelazione che tutti i giornali ignoreranno e che solo Camilleri, come vedremo, coglierà e commenterà. 
Vale riportare per intero il discorso di Grasso: «Nella tensione dell’attesa [del medico con l’iniezione] e dopo una pausa amplificata dal suo sguardo muto, atteggiato a un accenno di sorriso, quasi di ringraziamento per l’attenzione mostrata, pur pienamente consapevole che un tentativo disperato andava fatto, anche se con possibilità di successo vicine allo zero, ho azzardato: “Senta, signor Provenzano, sappia che se c’è qualcosa da fare per questa nostra Sicilia io sarò sempre disponibile”». Fermiamoci un momento. 
Grasso dice che sente di dover fare un tentativo disperato, sia pure votato all’insuccesso. Il lettore pensa che il tentativo riguardi l’eventualità che il procuratore possa fare qualcosa per il mafioso, oltre che procurargli un medico, perché convinto che si tratti di un atto dovuto nei suoi riguardi. Invece il tentativo disperato non riguarda, umanitariamente, Provenzano ma la possibilità che entrambi, cioè Stato e mafia, possano fare qualcosa insieme per il bene della Sicilia, “nostra” perché appartiene a entrambi. E infatti, in questa prospettiva, Grasso si mette a disposizione del capo della mafia dichiarandosi pronto a fare quanto Provenzano stabilisca. L’idea di Grasso è perciò che per conseguire risultati significati in favore della Sicilia lo Stato debba proficuamente allearsi con la mafia mettendosi a sua disposizione e sotto il suo comando.
La Licata non salta in aria, non interrompe il magistrato, non osserva di non aver capito bene quanto ha sentito. Tace e lascia che Grasso si spieghi meglio, forse convinto che il procuratore antimafia precisi subito che ha tentato una provocazione, che ha voluto il paradosso in faccia al suo nemico istituzionale rivendicando l’incolmabile distanza ed esercitando il più fiero distacco. Invece Grasso spiega sì, ma per dire quanto segue: «A queste parole il suo sguardo è diventato estremamente serio, fisso. Provenzano faticava a tenere immobile ogni muscolo del viso. Evidentemente il suo timore era che potesse trasparire una men che minima adesione alla prospettiva di poter “fare qualcosa” insieme a me. Ma una risposta la doveva e, dopo una brevissima pausa di riflessione, facendo ricorso a tutta la sua scuola mafiosa, a voce bassa, quasi impercettibile, mi ha detto “Sì, ma ognuno secondo il suo ruolo”. Disse proprio “ruolo”, con buona proprietà di linguaggio. Fine della comunicazione, con due parole aveva puntualizzato: “Tu fatti lo sbirro che io mi faccio il mafioso. Tra noi non c’è possibilità di rapporto”. E non avevo dubbi che sarebbe stata quella la risposta». 
Dunque, riassumendo: Provenzano irrigidisce ogni muscolo del volto per non tradire la sua possibile adesione. In verità, mettendosi nei suoi panni, dovrebbe irrigidirsi per un altro motivo e chiedersi: che questo qui voglia riferirsi alla trattativa Stato-mafia di cui evidentemente è al corrente? Probabilmente è proprio quello che pensa, in coerenza con la replica che dà, “ognuno col proprio ruolo”, che suona a sconfessione e negazione di ogni trattativa. La sorpresa viene invece dall’osservazione successiva di Grasso, che si dice certo che la risposta non poteva essere diversa. 
Stando così le cose, la sua proposta non è una provocazione, né il tentativo di strappare a Provenzano segreti sulla trattativa Stato-mafia, ma un’ipotesi di sincera collaborazione. Che, a questo punto, non si capisce da quali ragioni muova, perché deve essere semmai Grasso e non certamente Provenzano a decretare che tra i due “non c’è possibilità di rapporto”. Una logica sarebbe stata ammissibile nel caso in cui il dialogo fosse stato l’esatto contrario e che la proposta di collaborazione fosse partita da Provenzano. Invece è il procuratore nazionale antimafia a farsi avanti. Anzi decisamente indietro. 
La Licata cambia discorso, come se non abbia capito niente, ma qualche mese dopo, a ottobre del 2007, Camilleri – il solo in Italia – riprende l’episodio nel libro Voi non sapete, dedicato ai pizzini di Provenzano e concepito come un dizionario, cioè per voci. 
L’incontro tra Grasso e Provenzano viene rubricato alla voce “ruolo”, la parola pronunciata da Provenzano per prendere le distanze da Grasso. Camilleri ha letto Pizzini, veleni e cicoria ed è rimasto colpito. Ricostruisce il fatto e poi osserva: «Sia pure con una certa fatica Provenzano cala una maschera d’impassibilità sulla sua faccia. In tutta evidenza, la frase del procuratore l’ha preso alla sprovvista. E in effetti la frase è quanto meno sorprendente». 
Come "quanto meno sorprendente”? E’ sconcertante invece, inammissibile, censurabile! Ma Camilleri non va oltre la sorpresa, divagando poi sul significato di “ruolo” e l’osservanza dei ruoli come caposaldo della “riforma Provenzano”, nonché sulle implicazioni tutte siciliane della proprietà di linguaggio, quando tra siciliani si parli in dialetto per svilire l’interlocutore o mettersi al suo pari: occasione ghiotta per capire se Grasso e Provenzano abbiano piuttosto parlato in dialetto o in italiano per capire che tipo di familiarità hanno raggiunto dal momento che, come scrive “l’uso del dialetto abolisce tra due conterranei la distanza e può risultare troppo pericolosamente familiare». Ma Camilleri perde interesse allo spunto, che sarebbe stato ben rivelatore dell’andamento dell’incontro e soprattutto del tono dato da entrambi ad esso. Il ruolo appunto. 
Due anni dopo, scrivendo Tutto Camilleri, io intervisto lo scrittore a proposito del suo Voi non sapete e la risposta che dà Camilleri è stavolta di ben diverso tono. Ecco domanda e risposta. 
D. Lei definisce sorprendente quanto Grasso dice a Provenzano circa la disponibilità a fare qualcosa insieme per la Sicilia. A me pare sconcertante che un procuratore proponga una joint venture con il capo della mafia. 
R. D’accordo con lei. La proposta è stata sconcertante, sorprendente e forse (anzi senza forse) inopportuna. 
Da “quanto meno sorprendente” la rivelazione di Grasso diventa due anni dopo “forse, anzi senza forse, inopportuna”. Ma tanta inopportunità non sarà mai opposta a Grasso, che sei anni dopo diventerà presidente del Senato e occuperà la seconda carica dello Stato.