Il successo di Mario Renzi è il frutto ultimo, venuto a cascata, del progresso informatico che ha segnato in tutto l'Occidente il primato dei giovani. Vedere ragazzi se non adolescenti guadagnare riconoscimenti e meriti nel campo della ricerca informatica e tecnologica, prendendo il posto degli adulti nella conduzione della società della comunicazione, ha reso facile accettare giovani leve anche negli altri campi, non ultimo quello della politica.
Il fenomeno per cui solo nello sport era ammesso che ventenni e trentenni fossero celebrati e acclamati si è esteso in ambiti dove la giovane età era sempre stata guardata con sospetto. A cominciare dall'imprenditoria per finire alla politica, requisito della quale è innanzitutto l'anagrafe, è sempre stata richiesta una certa esperienza per ambire al titolo di capo o di maestro. Al punto che i giovani imprenditori costituivano fino a poco tempo fa una categoria distinta da quella decisionale. Così anche i giovani politici venivano considerati meramente in carriera e comunque non degni che di una semplice attenzione e cura.
L'esperienza da fare sul campo era considerata necessaria per conseguire quella saggezza, la gravitas romana, senza la quale era impensabile consegnare a un under 40 le chiavi di qualsiasi cabina di comando. Leonardo Sciascia, quanto alla qualità di uno scrittore, era convinto che prima dei quaranta anni nessuno potesse scrivere qualcosa che meritasse di essere letta alla stregua di un insegnamento. La saggezza era sinonimo di senilità, come è sempre stata, e prescindeva dalla competenza e dall'abilità perché fondata sulla maturità: ancor più quando si trattasse di governare. In politica infatti la saggezza è richiesta, o almeno lo era nel precedente sistema morale, come requisito prioritario rispetto alla competenza tecnica, tant'è che un ministro può passare da un settore all'altro con una disinvoltura che non è possibile trovare quando si tratti di un ministro tecnico, esperto cioè nel suo ambito di competenza. Del resto, il Senato si distingue dalla Camera, ed è richiesta una età non inferiore ai cinquant'anni per essere eletti, proprio perché ritenuto sede di parlamentari maggiormente saggi.
Ma la capacità che i giovani, financo i bambini, hanno rivelato nell'uso dei mezzi informatici, che costituiscono il tessuto del futuro prossimo, è bastata a rendere oggi insignificante l'età anagrafica ed accettare i giovani come figure legittimate a stare al pari se non più avanti degli adulti, di conseguenza ad aprire anche gli ambiti politici, oltre che imprenditoriali, a figure di un'età nella quale è indifferente non meno che impossibile la saggezza. Lo sviluppo della tecnica è così arrivata al punto che anche la politica, che sembrava la più impermeabile come la religione, si è dovuta arrendere al suo primato.
Renzi che come, prima di lui, Barack Obama, maneggia con facilità i prodotti telematici e il web, non è un saggio, perché non può esserlo per ragioni di età, ma è certamente un politico appartenendo alla schiera dei tecnici. Nel suo caso si tratta di nuovi tecnici, i tecnici della politica, meglio e più esattamente, i professionisti della politica: senza una vera competenza settoriale, senza una vera cultura umanistica, figli del metacciato postmoderno che ama il citazionismo della canzonetta, del cinema e dei fumetti, senza un vero mestiere se non quello della politica vista come un'arte da imparare nel tempo magari e in sostituzione di un corso di laurea, quindi al di là di un percorso formativo, di una "gavetta" tirocinante, di una lunga anticamera indispensabile per acquisire quella che era ritenuta la sola arma di successo: la saggezza. Che è una grandezza etica posta agli antipodi della tecnica, nel senso che o si è saggi o si è tecnici. Foucault distingue quattro figure antitetiche di veridizione, due delle quali sono la saggezza e la tecnica.
La saggezza richiede l'esperienza del buon padre di famiglia, più volte richiamata anche dai Codici, l'accortezza del capo tribù, un vissuto che faccia accumulare molti inverni e molte primavere, che doti la memoria personale di un numero tale di ricordi da potersi dichiarare testimoni di fatti remoti. La saggezza guarda al passato per farsi maestra di vita. La tecnica invece si rivolge al futuro e richiede preparazione settoriale, elasticità mentale, massima aderenza al presente, propensione all'avvenire, indifferenza ai valori ideologici, pragmatismo, amore della globalizzazione.
Renzi è figlio di questa patria che non misura più gli uomini ma li calcola, non crede nella parola né nell'onore, ma nel fatto concludente, fa del mezzo un fine, del negoziato un mero compromesso e considera un accordo non più che un'intesa. E' figlio spurio anche di Berlusconi, forse affetto anch'egli da una sindrome autistica che lo rende iperattivo, pronto alla battuta da drive in, ghiotto di applausi, attore di rivista e capocomico del teatro 2.0. Ma mentre Berlusconi ha avuto il talento di trasformare un popolo in un pubblico e di fare degli elettori altrettanti spettatori, molti telespettatori, Matteo Renzi ha avuto il genio di prendere il pubblico di Berlusconi e di aggiungerlo al suo portandolo dalla platea alla tribuna e facendolo sentire quarta parete e parte in causa. Ma anziché recitare come Berlusconi, che stregava il pubblico promettendo ricchezza per tutti, Matteo invece canta e, giurando a tutti la fine delle pene, incanta con le belle parole, l'accento fiorentino e un'ubiquità che può sembrare ammuina. Incarna il politico del nostro tempo: manageriale, spiccio, disinvolto, spregiudicato, infingardo, opportunista, in sostanza incolto e ignorante, necessariamente sotto i 40 anni e tutto sommato simpatico, consapevole che la vera saggezza di un tecnico è di promettere la felicità e cercarla anziché avvertire sull'infelicità e cercare di scongiurarla.