Vito Mancuso, un teologo riformista che studia per rivoluzionario, scrive oggi su Repubblica che con papa Francesco la Chiesa ha tutte le chances per cambiare in senso innovativo, sempreché gli permettano di andare fino in fondo come sembra voler fare.
Secondo Mancuso, Bergoglio deve in sostanza vestire i panni del rottamatore e introdurre una primavera ecclesiastica che l’altro rottamatore del nostro tempo, Matteo Renzi (diventato un riciclatore per dirla con Santoro, che lo ama ma gli dà i pizzicotti), sta cercando di stabilire in Italia nella versione laica.
Ma una cosa è rottamare la politica che come l’acqua prende la forma del recipiente dove viene versata e un’altra, ben altra, è rottamare la Chiesa. La quale di per sé è in verità una struttura che può essere smontata e rimontata come pezzi di Lego, se un papa può succedere a un altro o addirittura convivere, veicolando se non idee nuove certamente nuovi propositi e rischierando le gerarchie in nuovi scacchieri, ed è questa la Chiesa relativa – relativa cioè al tempo in cui opera sotto un pontificato.
Ma la Chiesa non è solo una struttura materiale, fatta di logiche, princìpi e precetti terreni; c’è anche quella assoluta, avulsa dal suo tempo, che non risponde al papa ma a Dio, cioè al suo Credo. E’ questa la Chiesa dei dogmi della fede, che non si possono cambiare se non creando nuovi dogmi e quindi una nuova fede, cosa che si capisce bene equivarrebbe a fondare un'altra Chiesa. Mancuso vuole che la Chiesa si trasformi, che sia in sostanza colmato il fossato tra credenti e credo in temi decisivi e presenti come la famiglia, il celibato sacerdotale, la procreazione artificale, l’omofobia, le coppie di fatto, temi sui quali la società ha preso in realtà la rincorsa e lasciato a grande distanza la Chiesa, che si trova stordita e disorientata. Di qui l’apertura tentata dal cardinale Kasper su impulso certamente di Bergoglio sui fronti più spinosi, abbattuti però i quali non si avrebbe una nuova Chiesa ma una nuova dottrina della fede.
Se, per esempio, come fu ventilato qualche anno nell’ambito proprio della Congregazione della dottrina della fede, quella che può cambiare il Credo come fosse la Costituzione, il Purgatorio venisse davvero soppresso perché nemmeno nell’Aldilà ci sono più le mezze stagioni, per dirla in serietà: perché si è capito che se non si fa il bene si fa il male, non verrebbe modificata o ammodernata la Chiesa ma travolto uno dei capisaldi della coscienza cattolica, un lenimento che per secoli ha consolato i fedeli di fronte al terrore dell’abisso dell’inferno solo perché i peccati sono stati poco più, anche solo uno in più, dei meriti per guadagnare il Paradiso.
Se la Chiesa non è il suo apparato ma il suo spirito, l’insieme di dogmi nei quali il credente deve porre tutta la sua fede, non è possibile alcun mutamento, nemmeno il più piccolo: non per lasciare immutate le regole del nuovo patto di alleanza ma perché una modifica segnerebbe la fine della fede, oltre a ricreare le laceranti dispute che nei concili dell’alto Medievo, proprio sul Credo, hanno portato alle eresie e alle persecuzioni.
Se è possibile dubitare e maturare, come presagirebbe Mancuso, un proprio Credo personale, atteggiamento che sembra incoraggiato da papa Francesco, non si ricadrebbe soltanto nel terreno minato dello gnosticismo, già adombrato da Paolo VI e da lui additato come una minaccia reale e incombente, ma si ripiomberebbe anche nel tomismo che la Chiesa ha fissato come antitetico alla fede.
Sarebbe a quel punto legittimo che ogni credente si ponesse seri dubbi sulla consistenza non solo della Trinità e della consustanziazione ma soprattutto di dogmi quali la resurrezione di Cristo e il Giudizio universale che vale il ripristino allo stato vitale dei corpi umani decomposti e ridotti in polvere. Di più: ogni fedele sarebbe autorizzato a pretendere che Dio si faccia vedere e dia segnali concreti e inconfutabili della sua esistenza, mentre il cristianesimo impone l’obbligo del Credo in ogni dogma, anche il più incredibile, senza che per questo sia addotta alcuna prova materiale.
La fede cristiana si fonda sul Credo che si fonda sulla Rivelazione la quale a sua volta si fonda su precisi e inalienabili dogmi. Al cristiano non è chiesto di verificare ma di credere, secondo l’insegnamento di San Paolo, il vero padre del cristianesimo, molto più di Cristo, per il quale la fede non si guadagna con le opere ma si ottiene per una grazia divina, essendo un dono di Dio. Se è così, un cristiano ha fede perché così ha voluto Dio. Unicamente il quale può dunque modificare leggi e principi che in realtà sono immodificabili perché Dio non è soggetto a ripensamenti né indulge ad emendamenti.
La Chiesa allora deve rimanere sempre più attardata rispetto alla società? Può cambiare invece, e molto, ma solo come potrebbe farlo ognuno di noi, liberi di cambiarci d'abito a piacimento, apparendo più gradevoli, accettabili e presentabili, ma nell'impossibilità di mutarci fisicamente. Quel che Mancuso sembra immaginare è proprio una operazione di chirurgia così profonda da fare di una entità un’altra totalmente diversa. Cosa che non è possibile perché si avrebbe in qualche modo la seconda ma non si avrebbe certamente più la prima.