Il pesciolino rosso che, accogliendo il suggerimento di un gruppo di creatives baresi, Matteo Renzi ha esibito nella sua conferenza stampa di mercoledì elevandolo a simbolo della “buona svolta”, ma rivisitandolo con l’aggiunta di un’abbondante enfasi, tanto da dichiararlo fondamentale ai fini della sua manovra economica, sarebbe probabilmente finito a fare da stuzzichino ai pop corn o comunque non sarebbe apparso in alcuna slide, dentro una boccia di vetro per giunta, se solo il premier ne avesse conosciuto quale accezione ha avuto e continua ad avere in letteratura.
Gli amici pugliesi di Proforma che gratuitamente gli hanno imbandito la conferenza stampa, da altri giudicata un’americanata con tanto di disco argento ovale sul palchetto a fare tanto “iu-es-ei” e non stare sotto il tecnologizzato Barack Obama, hanno pensato alla boccia di vetro come indice di trasparenza e al pesce rosso un po’ per evocare il colore della bandiera di casa, sebbene quella fosse la casa del governo e non del partito, e un po’ per contrappasso, essendo Renzi uno che certo non sta zitto. Insomma per ravvivare l’ambiente.
Qualche giornalista si è accorto del pesce nella slide e ha chiesto, tra serio e confuso, spiegazioni al premier che ha risposto con una battuta senza spirito, peraltro incomprensibile se non per due parole, “tema fondamentale”, servite ai giornali per battezzare il pesce rosso emblema dell’evento aggiungendolo così alle altre specie animali, il giaguaro di Bersani, il cagnolino di Berlusconi, che negli ultimi tempi si sono visti promossi a una ferinità di partito non del tutto assennata.
Se nella stanza ci fosse stato qualche letterato o un giornalista di buone letture avrebbe colto in quel disegno ben altro significato, molto meno augurale ed epifanico, e avrebbe interpretato l’intenzione del premier come un inganno. Il pesce rosso più famoso resta infatti, almeno in certi ambienti ancora avvertiti, quello, anzi quelli, di Emilio Cecchi, il rondista di un secolo fa esatto che fece della prosa d’arte un mezzo di civiltà. Nel 1920 pubblicò un libro di mirabili saggi cui diede un titolo che doveva diventare una metafora di tenace concetto: Pesci rossi. Dove i pesci rossi non erano da vedere né come muti testimoni della storia né come trasfigurazioni della rivoluzione leninista, bensì in guisa di allegoria della vita che mostra due facce in una facilmente e repentinamente mutabili.
In una boccia di vetro infatti i pesci rossi si mostrano nel loro aspetto naturale e rassicurante, gradevole a vedersi e irenico, solo se posti però in posizione orizzontale e osservati di profilo, perché se d’un tratto e con un guizzo si girano e appaiono frontalmente allora quel che vediamo è una maschera che assume le forme mostruose di un incubo, sicché ciò che ci appare bello un momento dopo diventa bruttissimo, a dimostrazione che la vita non è diversa.
E' così anche la politica e in specie la politica di governo e, più in particolare, di questo governo? Quel pesce rosso, trasposizione figurata di Renzi, sembra volerci dire che la boccia in cui si muove e agita è il Paese e che da un profilo orizzontale, quello che la slide mostra, egli può d’un tratto cambiare posizione e dunque aspetto rivelando ben altra natura guardandoci dritto in faccia come una balena che voglia mangiarci.
Insomma Matteo Renzi avrebbe dovuto farsi consigliare meglio prima di intestarsi simboli tanto equivoci ed essere più prudente nell’etichettarli come fondamentali. Ma forse è stato tutto previsto e voluto, come ogni particolare della coreografica e versicolare conferenza stampa: anche il pesce rosso dunque e la sua doppia faccia.