sabato 15 marzo 2014

La politica di Renzi, una scommessa da bar Sport


Sembra che i talk show nazionali non abbiano più idee oppure che ne abbiano trovata una uguale a una miniera d’oro. Ieri sera tutte le trasmissioni serali bocca a bocca, Bersaglio mobile, Virus, Matrix, nonché quelle pomeridiane, meno cerebrali ma di analogo slancio, non si sono occupate che di Renzi. Diventato l’argomento del momento.
Non succedeva dai tempi migliori di Berlusconi, segno ulteriore che, suscitando lo stesso interesse, i due protagonisti dell’attuale scena si assomigliano anche nel grado di attenzione che determinano. 
Ma non è un buon segnale, perché più si parla di una persona, anche se negativamente, e più quella persona diventa quantomeno interessante. Nasce generalmente da queste condizioni di partenza il culto della personalità che nell’attuale società dello spettacolo, preconizzata da Debord, invale in televisione e non più nelle piazze. Del resto Renzi è un soggetto che si presta meravigliosamente a fare da oggetto di discussione, non si finirebbe più di parlarne, molto più che del Berlusconi d’antan: perché Renzi ha introdotto nel dibattito politico, fin qui rivolto a esaminare ciò che è stato fatto e ciò che non è stato fatto, quindi tutto sommato rutilante e stucchevole, un fatto nuovo e dirompente, cioè la scommessa. 
Operando la politica renziana sempre in funzione di un programma da realizzare e non essendo quindi che proiettata nel futuro, per giunta sempre prossimo a stare alle enunciazioni, discuterne per presagirne l’insuccesso o prefigurarne la fortuna è come stare al bar Sport a fare pronostici sulle partite di domenica prossima. Parlare di politica è diventato quindi un esercizio ludico come se si trattasse di parlare di calcio. Stesso accanimento e stessa retorica della variazione, della divagazione, della ridondanza e della povertà di forme e contenuti. 
Il massimo successo che Renzi poteva ottenere in venti giorni è stato allora sul piano del coinvolgimento, con ciò richiamando alla politica quanti si erano lasciati andare alla marea montante dell’antipolitica. Renderla infatti argomento di pronostici e quindi non solo di facile presa a tutti ma di per sé intrigante, fa della politica un tema da riportare a tavola e per il quale vale la pena litigare. 
Renzi, che ha capito benissimo di dover impressionare lo spettatore con effetti speciali piuttosto che convincerlo con argomenti più o meno speciosi (tant’è che nella riunione del Consiglio dei ministri di mercoledì, capitale per le misure da prendere sul taglio delle tasse, ha pensato più alle slives necessarie alla conferenza stampa che non alle conclusioni del governo), ha aggiunto per soprammercato un altro elemento di interesse, fissando cioè le date entro le quali ha annunciato il mantenimento delle promesse: così alzando ancora di più la posta e rilanciando la scommessa e dunque il dibattito, in casa come in televisione. Sembra un indice di serità darsi un termine e invece, visto dal lato dell’audience e del buco da praticare nello schermo, è un propellente per infiammare ogni studio televisivo e alzare i toni, anche a rischio di abbassare il tenore. 
La cosa più originale, pertinente e apprezzabile che finora ha detto, Renzi se l’è sparata giustappunto in televisione quando da Fazio – parlando appunto di programmi calendarizzati – ha citato Walt Disney indicando nella data la differenza tra un sogno e un programma - ma dimenticando di precisare che nel momento in cui prefigura un programma a scadenza, in realtà è un sogno che vagheggia e instilla, ancorché spacciato per un progetto. 
Uno capace così tanto di mettersi in discussione e farsi egli stesso posta di scommesse ripetute se non è un folle è un genio, sempreché a certe altezze ci sia qualche differenza tra una grandezza psichica e l’altra. Ad ogni modo, comunque finiscano le sue puntate, ha già in tasca almeno una vittoria certa: il mantenimento della scena, cosa che oggi è diventata una prerogativa indispensabile. Lo sa per primo proprio lui. Bisognava infatti vedergli la faccia quando alla Camera tutti gli occhi, anche quelli catodici, si distolsero da lui e si puntarono sull’abbraccio tra Bersani e Letta. Il modo in cui Renzi fu costretto ad applaudire anch’egli, facendo buon viso a pessimo gioco, rivelò a chi fosse stato attento ai dettagli di questo genere che per lui fu una sconfitta bruciante la perdita momentanea della scena. Forse è stato quello il suo primo e principale insuccesso da premier. Ma non risulterà nel conto finale, perché è valso solo nel suo.