domenica 18 maggio 2014

Le due maschere dell'Inda



Secondo il Collegio dei revisori dei conti i biglietti emessi dall’Inda per la stagione 2012 furono 109 mila 832, compresi quelli omaggio ed esclusi i 717 dichiarati nulli. L’incasso, sulla base dei borderaux giornalieri firmati dal delegato Siae, fu di 3 milioni 27 mila 288 euro.
Quindi in media un biglietto sarebbe stato messo in vendita al costo di 27.50 euro, calcolo però non rispondente al vero perché la media dei biglietti d’ingresso nel 2012 fu di circa 32 euro andando da un massimo di 64 a un minino di 32 euro (28 se ridotto). I conti dunque non tornano, ancorché non di molto. Ma per ragioni non dichiarate né comprensibili, l’anno scorso la Corte dei conti ha preferito non approfondire la questione scegliendo di riferire “nelle prossime relazioni”: se non quest’anno, quello successivo o l’altro ancora.

I conti tra biglietti emessi e incasso è l’oggetto principale dell’inchiesta giudiziaria condotta dalla Procura di Siracusa ormai da qualche anno, ma altre sono le incongruenze nella gestione finanziaria del Dramma antico quanto anche alle procedure di gara. Sempre i revisori dei conti, nel verbale dell’8 febbraio 2013, frutto di un esposto ricevuto il 29 ottobre 2012, muovono infatti numerosi rilievi, tutti accolti dalla Corte dei conti, circa la mancata tenuta di verbali di aggiudicazione delle singole gare, la violazione delle procedure concernenti il cottimo fiduciario e l’affidamento diretto, la mancata pubblicazione sul sito dell’esito delle selezioni e dei dati dei soggetti aggiudicatari, la mancata richiesta agli affidatari di adeguate garanzie per l’adempimento degli impegni, la mancata comunicazione da parte degli affidatari dei conti correnti dedicati.

Si tratta in tutti i casi di gare che in realtà sono state svolte a trattativa privata, tant’è che la Corte dei conti può scrivere nella relazione 2013 che “tutte le forniture e servizi, escluso il servizio biglietteria, sono state appaltate con ricorso alla trattativa privata, o addirittura senza gara alcuna, con compromissione della possibilità di conseguire prestazioni di più elevata qualità e a prezzi più vantaggiosi, che potrebbero discendere dalla concorrenza delle imprese e, quindi, dall’esperimento di gare allargate alla più ampia partecipazione”. 
A trattativa privata sono stati affidati appalti per un totale di 490 mila 515 euro, la voce più cospicua dei quali è quella di 86 mila 300 euro relativa alla promozione (cartellonistica, pubblicità in aeroporti, traghetti, stazioni ferroviarie, pubblicità dinamica, impianti vari, totem aeroporti ecc.), una torta dalla quale quest’anno sono stati esclusi i quotidiani, ragione per la quale domenica 4 maggio “La Sicilia” ha pubblicato a firma del suo ex vicedirettore Domenico Tempio un editoriale intitolato “Inda, emblema di un’isola che non sa valorizzare il proprio patrimonio”: dove patrimonio sta per pubblicità dal momento che l’articolo parla di “pochi manifesti e poca presenza sui giornali”, come se la presenza dell’Inda sui giornali dipenda dall’Inda e non dai giornali, a meno che – appunto – non si tratti di pubblicità. 
Ma se l’Inda, in tempi di rigorosa spending review, fa bene a centellinare la pubblicità, scartando i quotidiani, che in quattro anni hanno letteralmente dimezzato le vendite (“La Sicilia”, dati Ads, ha ridotto la vendita da 60 mila a 23 mila copie), sbaglia però a considerarsi un ente privato e ad agire come tale. La refrattarietà a muoversi in qualità di ente pubblico ha per altri versi indotto i revisori dei conti a contestare all’Inda di non avvalersi “delle convenzioni stipulate dalla Consip, cui potrebbe avere accesso in ragione della particolare natura giuridica che riveste all’interno dell’ordinamento nazionale”. L’Inda ha replicato che come fondazione si è iscritta sul portale degli acquisti della pubblica amministrazione “acquistiinretepa.it”, ma alla magistratura contabile “non risulta avervi mai fatto concretamente ricorso”, né ancora oggi sul sito appare in qualche modo il nome dell’Inda.
Se tuttavia l’Inda, che è stata privatizzata dieci anni fa, operasse davvero in regime di diritto privato conseguirebbe uno stato che è auspicato dalla stessa Corte dei conti, la quale rileva come il sistema dei trasferimenti pubblici, sempre più in calo e in ritardo, continua a costituire la prima fonte di finanziamento quando invece il ricorso al mercato anche attraverso sponsor privati e iniziative imprenditoriali dovrebbe rappresentare il nuovo modello di sostentamento interamente autoprodotto. 
Sicché la situazione è questa: da un lato l’Inda continua ad agire come un ente pubblico, sostenuto da enti pubblici, innanzitutto il ministero dei Beni culturali, e deciso a pretenderne i contributi; da un altro si dichiara società privata e si intesta a operare, soprattutto nel campo degli appalti, fuori da ogni controllo. Il risultato è l’attuale impasse, che vede una fondazione decapitata dei suoi organi statutari, attaccata dalla stampa, incapace di reagire, nel mirino della magistratura e in calo verticale di prestigio e di immagine. E tutto questo nel momento in cui, commemorando i cento anni dal debutto, avrebbe dovuto celebrare il suo massimo fulgore.