giovedì 7 agosto 2014

Quest'uomo ci guarda e ci condanna

Foto del libro Olocausto di Guido Knopp (Corbaccio)

Ci sono immagini che designano un'epoca: come il terrorista che spara alla polizia, la bandiera su Iwo Jima, il bambino ebreo con le mani alzate. Quella qui sopra è sconosciuta ma fa rabbrividire. E' uno sconcertante documento di condanna contro il mondo.
Si vede un militare delle Ss che, con assoluta freddezza, ripetendo un atto routinario, sta per uccidere un ebreo russo, inginocchiato sull'orlo di un fossato nel quale sono caduti gli uomini massacrati prima di lui. Soldati della Wehrmacht assistono curiosi e indifferenti. 
L'uomo, in rassegnata e inerme attesa del proiettile, conosce già come avverrà la sua esecuzione avendo visto i compagni morire allo stesso modo, e sembra mettere in atto un piano studiato nei minuti precedenti. Ha visto che dall'altro lato del fossato è posizionato un fotografo, certamente di regime. Visto che i nazisti vogliono documentare l'eccidio coglie l'occasione per trasformare quel documento in una denuncia. E' questione di attimi. 
Sa che gli stanno per succedere due cose: ricevere il colpo dell'aguzzino alla nuca e lo scatto del fotografo. La sua speranza è che il fotografo faccia prima del carnefice così da conseguire il suo scopo: guardare noi attraverso l'obiettivo - noi che oggi vediamo i suoi occhi colmi di dignità e coraggio, ma anche di dolore e di pena per il destino del mondo. Sa che morirà ma sa anche che la foto - se precederà il proiettile - lo salverà dal Lete della storia lasciandolo vivo per sempre nella memoria universale. 
Alza perciò lo sguardo - uno sguardo fermo, deciso, perentorio - e fissando l'obiettivo quasi in segno di sfida perché faccia presto a scattare la foto riesce a chiederci con un'autorità che gli viene dalla posizione in cui si trova: "Non vedete cosa mi fanno? Cosa fate per fermarli?". La sua speranza, ben riposta visto il risultato, è che il fotografo sia un professionista e quindi mosso dall'intento "artistico" di cogliere in lui l'ultimo attimo della vita. Il nostro rammarico è che quell'uomo è morto senza sapere che ce l'ha fatta: che il fotografo ha fatto prima del boia e che il suo sguardo ha attraversato l'obiettivo e ci ha raggiunto. Come un colpo di frusta.
Senza volerlo, il fotografo ha collaborato con lui a rendere la foto professionale e quindi eloquente: lo ha inquadrato esattamente al centro, rendendolo il punctum barthesiano, e facendo sì che dietro si vedano i tedeschi, cioè il passato; ai suoi piedi i compagni uccisi, il suo presente; e davanti, oltre il fossato, oltre il suo tempo, la nostra generazione, i destinatari di quello sguardo e della foto stessa.
In altre foto di fucilazioni o esecuzioni dello stesso tipo, le vittime non guardano se non nel vuoto e hanno gli occhi spenti, la mente a una preghiera, la coscienza del terrore puro. Quest'uomo senza nome invece ha negli occhi una forza che ci impietrisce, perché guarda avanti e vede noi.  Alle lastre affida un messaggio che ha il senso di un imperativo: quardatemi e non dimenticate. Ma noi abbiamo un problema: non riusciamo ancora a sostenere il suo sguardo.