venerdì 8 agosto 2014

Tutti possono parlare, tranne Schettino


Una pericolosa ventata di conformismo sta flagellando la coscienza italiana. Sembra che su certi temi che un tempo avrebbero dilaniato le coscienze oggi si stenda un pensiero unico che unisce intellettuali, politici e giornalisti. L'ultimo caso la lezione tenuta da Schettino alla Sapienza. Tutti contro. E nessuno a fermarsi a riflettere un attimo.
Ma cosa ha fatto di tanto esecrabile il comandante della Concordia, che peraltro nessun tribunale ha ancora condannato per cui è del tutto innocente o presunto tale? Ha accettato un invito dell'università e si è presentato agli studenti dopo essere stato annunciato in bacheca da settimane. Quindi c'era tutto il tempo di revocare l'invito e tutto l'agio di ogni studente di disertare la lezione o quantomeno di uscire dall'aula. Non solo: in un'epoca in cui gli studenti postano su youtube anche il cappuccino che prendono al bar, è stato necessario aspettare un mese perché la notizia si risapesse: e non grazie a un twitter fuorivia o a un video su internet ma a un articolo di un giornalista de La Nazione.
Cosa significa? Che i soloni e pavoni che oggi crocifiggono Schettino e dichiarano distrutta l'università, calcolando i danni che sugli innocenti spiriti studenteschi ha determinato l'apparizione di Schettino in taccia di professore, nemmeno si sono chiesti perché mai gli studenti di cui tutelare l'appercezione non hanno trovato niente da ridire e da postare e pare anzi che abbiano pure gradito quanto hanno ascoltato dall'ex comandante. 
Ma da neoconformisti, consociativi, puritani e perbenisti, noi italiani, figli di un supposto paese laico e civile, ci siamo indignati al punto che solo per pudore non abbiamo chiesto il linciaggio immediato di Schettino. La cui figura, nel nostro immaginario, continua imperturbabilmente ad essere accostata a quella del prode ufficiale della Guardia costiera che gli ingiunse di tornare a bordo passando lui da eroe, ancorché rimasto seduto nel suo ufficio al caldo, e relegando Schettino, stordito, traumatizzato, confuso e fuori di sé (come ogni comandante che perda la sua nave), al rango di codardo e reietto. E ora da qualche opinionista della maggiore chiamato pure "criminale", reo di girare l'Italia e parlare di sé. Cosa che costituirebbe colpa più grossa del naufragio avvenuto sotto la sua responsabilità.
Questa Italia, che permette a un uomo condannato a quattro anni in sede definitiva per un reato infamante, sotto processo in una decina di tribunali, di concludere patti politici elettorali addirittura con il presidente del Consiglio e di continuare a mostrarsi e dichiararsi leader di partito; che a grandi boiardi di Stato sotto inchiesta, a luminari delle scienze umane inquisiti e condannati consente di tenere cattedre e continuare a corrompere i nostri imberbi giovani; quest'Italia bacchettona e beghina, lestissima a unirsi ai cori e lentissima a prendere fiato e pensare, vitupera un uomo non tanto per quanto ha detto ma per il solo fatto che abbia parlato e per giunta nel sacro tempio della nostra solenne e antiqua università La Sapienza di Roma Capitale d'Italia. 
Anziché cercare di avere il discorso tenuto da Schettino su come gestire il panico (non altro che per la curiosità di sapere cosa uno che si è fatto prendere dal panico suggerisce ora per scansarlo: comunque una testimonianza giornalisticamente preziosa) i giornali italiani hanno lanciato anatemi bavosi e ingiuriosi contro l'ex comandante, che divenuto ormai un reprobo e un martire da lapidare ben facilmente si offre ai sassi di qualunque mano.
In realtà e in verità, se decine di italiani inquisiti per reati anche gravi possono, in veste di deputati e senatori, se non di ministri, parlare in Parlamento e al Paese, a maggior ragione un uomo sotto processo, con una lunga esperienza in fatto di mare, può bene tenere una lezione in un'aula universitaria sul panico a bordo. 
Il vizio di guardare al peccatore anziché al peccato e di bollare adesso Schettino per il fatto di avere parlato e non per cosa ha detto, è tutto italiano. Condannando la decisione di averlo fatto parlare (vada a loro piuttosto l'ammirazione della gente di buon senso, non ancora caduta nel vortice del conformismo), i nostri persuasori occulti hanno in sostanza ripristinato il reato d'opinione e prima ancora quello di espressione. Ora sappiamo, a stare a quanto scrivono i giornali sul caso, che ci sono persone che non devono parlare, non avendone diritto in base alle sole accuse a loro carico. Resta la labile speranza che a queste stesse persone, Schettino in testa, sia consentito di parlare quantomeno in tribunale per difendersi. Ma di questo passo, temiamo che anche questa libertà finirà per essere considerata una licenza e tale quindi da essere fieramente soppressa.