mercoledì 12 novembre 2014

Se le rughe si accigliano sono siciliane

Ritratto realizzato dal fotografo Lee Jeffries

Quando Mastro don Gesualdo, morente, chiede alla figlia Isabella che provveda a dei legati per onorare un proprio segretissimo debito di riconoscenza da cosa capisce che non otterrà ubbidienza? Dalla comparsa di “una certa ruga” che alla figlia benmaritata spunta fra le sopracciglia.
Don Gesualdo ha imparato a conoscerla osservandole la fronte: sa che ha perso la testa per un uomo perché vede che “quella follia l’aveva sempre lì, nella ruga sempre fissa tra le ciglia”. La ruga, per un uomo di terra come Gesualdo Motta, è il sembiante del solco che scava l’aratro, il quale non lascia solamente un segno ma anche un seme - nella ruga che si disegna in volto crescendo il carattere di una persona, quella che Marc Gafni chiama l’”impronta dell’anima”. Cosa succede alla baronessa Rubiera alla notizia del figlio intrescato con la sorella di cugino Trao? Le appare una ruga “nel bel mezzo della fronte: la ruga della gente che è stata all’acqua e al sole per farsi la roba”. Così la ruga dei Trao passa dalla madre Bianca alla figlia Isabella.
Don Gesualdo la conosce bene, perché è un segno particolare analogo a quello dei Motta. E quando, nel letto di morte, la scorge sul viso di Isabella, vede anche “qualcosa negli occhi”, sicché non ha più motivo di dirle altro. Cambia bruscamente discorso: “Ora fammi chiamare un prete”.
Per il Verga del modello siciliano le sopracciglia non si corrugano a esprimere un turbamento o un contristamento, ma sono le rughe che si accigliano quando un segreto dell’animo si manifesta anche contro l’intenzione di non pronunciarsi. Le sopracciglia invece si corrugono per esempio in Eros: la principessa Metelliani le corruga e “fissa gli occhi nel vuoto”; e Alberto corruga un sopracciglio con “lo sguardo fisso davanti a sé”. Ma Eros è un romanzo della stagione milanese.
Ci sono quindi rughe e rughe per Verga: quelle “sottili e fuggevoli” (non viste dal Cesare del Marito di Elena) che sono temporanei moti d’animo e quelle “ostinate” del tipo dei Trao, nèi indelebili di una razza, che possono essere “precoci” quando sono date dai “giorni senza pane”, frutto di fatica e guidaleschi del dolore. Espressione di ansia momentanea sono le rughe che appaiono nel viso di Elena: sul quale “si leggeva una sfumatura d’inquietudine nella ruga che si disegnava rapidamente tra le sue sopracciglia”. In Bianca e in Isabella le rughe invece non si disegnano “rapidamente” perché non appaiono né scompaiono: ci sono “sempre”, come elementi distintivi, tratti somatici che possono più o meno accigliarsi in funzione degli effetti della vita.
Dice Baldacci che il merito di Verga non è stato tanto di aver scoperto la povera gente ma di averla fatta comprendere senza l’interprete. Con l’avvertenza però che, oltre la lingua e il discorso indiretto libero, Verga ha apprestato un codice semantico, fatto di gesti e segni, che sostituisce la parlata e rimanda a una koiné molto siciliana entro la quale il gesto costituisce un linguaggio, così come l'espressione del corpo.
Racconta Camilleri in La bolla di componenda il caso di due siciliani che vengono arrestati, ma rinchiusi in celle diverse, e che al momento del confronto si guardano negli occhi e fanno dire alla guardia: "Si sono parlati ormai, è inutile interrogarli". Sempre Camilleri narra che, lavorando con Sbragia alla riduzione teatrale del Giorno della civetta, chiedeva il suo parere e traeva la risposta unicamente dalla sua “mimica facciale”. Proprio nel Giorno della civetta, quando il capitano Bellodi invita don Mariano ad accomodarsi, il capomafia non dice una sola parola ma lo guarda “attraverso le palpebre grevi: uno sguardo inespressivo che subito si spense in un movimento della testa, come se le pupille fossero andate in su, e in dentro, per uno scatto meccanico”. Ed a proposito di Sciascia è celebre l'episodio in cui lui e un amico siciliano rimasero a tavola per tutto il tempo zitti di fronte all’imbarazzato ospite settentrionale, per poi spiegargli che non avevano fatto che parlare bene di lui: a gesti.
La più bella rappresentazione gestuale applicata ai siciliani viene da Pirandello che nella novella La patente svolge il dialogo tra il giudice D’Andrea e lo jettatore Rosario Chiarchiaro soprattutto tramite gesti, più espressivi di ogni discorso. Verga è arrivato a vedere nelle rughe che si accigliano la denotazione di un permanente modo d'essere, un'impronta dell'anima, e le ha distinte dalle sopracciglia corrugate che sono solo espressione di un momentaneo stato d'animo.