domenica 22 novembre 2020

Palermo e la Battaglia persa

 

Con la rimozione dai social delle foto di Letizia Battaglia dedicate al trinomio Palermo-Lamborghini-ragazzine, a perdere non è stato il cattivo gusto ma l’arte. Alla quale non si può chiedere che sia buona ma solo che sia bella. Un’opera d’arte va interpretata e non giudicata. Deve emozionare, perché se è chiamata a educare ricade negli stilemi precrociani e ottocenteschi che anche ai libri, come professava D’Azeglio, richiedevano di “rifare la gente”. 
Pelosa appare dunque la polemica - mista all’indignazione e a una buona dose di falso puritanesimo che rasenta l’ipocrisia – nata sul reportage pubblicitario della celebre fotografa palermitana, che nel proporre la sua personale idea di lusso made in Italy e più ancora il suo concept di sicilian dream ha scelto delle adolescenti palermitane, da immaginare provenienti dalle borgate, che poste sedute e trasognate davanti a uno sfavillante simbolo del successo suggeriscono (nel contrasto tra il loro abitino della festa e la celebrazione dello sfarzo, ma anche tra la loro presenza intrusiva e il fasto di Piazza Pretoria, nelle due Palermo mai conciliate) un rapporto di forza entro il quale le portiere aperte della Lamborghini rappresentano il richiamo di un accesso possibile a chiunque, uno startgate della fortuna, seducente e ammaliante anche per una teenager che in un’auto del genere vede innanzitutto l’ippogrifo che la porti via dal suo quartiere mai risanato. 
E che questo teorema sia opera di una fotografa che le stesse ragazzine le ha sempre fotografate in ben diversi indumenti e in tutt’altri luoghi, con atteggiamenti molto diversi da chi si accarezzi i capelli da vamp o da lolita è motivo per riflettere non sull’oggetto ma sull’artista e sul suo nuovo inatteso sguardo posato su una Palermo non tanto bambina quanto vocazionale e in farsi. Ma anziché ragionare sul nuovo corso dell’artista palermitana premiata dalla casa automobilistica emiliana, le menti sue concittadine più avvertite hanno sentito di doversi scandalizzare additandola al disdoro e non ottenendo che un attonito e forse sconsolato silenzio. 
Una “capitale della cultura” che, a nome del suo sindaco artefice di una lontana primavera, non accetti che un artista debba essere valutato solo per la resa estetica e non per quella etica, ha bisogno di ripensarsi: anche nelle scelte di scenario compiute, giacché buono e cattivo gusto non possono essere modelli da evocare sul banco dell’arte e dare per stabiliti su quello sociale, dove ancora oggi non tutte le sensibilità per esempio ammettono il Registro delle unioni civili varato da Palazzo delle Aquile, quando poi vengono assunte misure diverse, da un lato bocciando le ragazzine utilizzate a scopi pubblicitari e da un altro approvando i ragazzini come Arturo, Flora e altri della serie La mafia uccide solo d’estate (concomitante all’istituzione nel 2013 delle coppie di fatto e girata a Palermo), impiegati a scopi di deformazione e demistificazione della coscienza antimafiosa. 
Nel sorprendente e sofisticato lavoro compiuto da Letizia Battaglia occorreva piuttosto vedere - solo a notare la scelta del luogo, il vestitino nero e scamiciato, l’aria incantata e spaesata delle adolescenti - la metafora di una città tormentata e infelice che, immedesimandosi in una fanciulla di periferia e dal volto popolano, assisa in trono con baldanza e moto di sfida nella piazza delle adunanze e del potere civico, vagheggia un futuro da grande. Forse proprio questo sembiante è stato a irritare troppi.