mercoledì 25 novembre 2020

Maradona, troppo genio e troppa sregolatezza

 


Può sembrare eccessivo che in Italia sia dato tanto spazio, con l’interruzione dei programmi televisivi in diretta e l’occupazione delle homepage dei maggiori siti web, alla morte di Diego Armando Maradona, andato via da quasi trent’anni dopo peraltro una disonorante squalifica per cocaina; e può sembrare strano che non sia la sola Napoli in lacrime ma l’intero Paese, che nel suo nome si è trovato unito colmando il fossato tra Nord e Sud. 
Il cordoglio italiano è il tributo riconosciuto a uno straniero che nel calcio è stato troppo genio e nella vita troppa sregolatezza, ma che sulla bilancia finale ha visto pesare solo il primo. Uno così, smodato in ogni comportamento, divino in ogni palleggio, sembrava destinato a divenire oggetto di un dovere collettivo all’oblio, ma non sono bastati i decenni né le intemperanze per strapparlo dal cuore degli italiani. 
In lui il Nord antimeridionale ha ammirato il funambolo capace con un pallone ai piedi di incantare le tribune più pretenziose, mentre il Sud ha trovato l’uomo del riscatto, l’angelo in grado di fare vincere al Napoli due volte lo scudetto ed altri trofei anche internazionali, liberando la città e tutto il Mezzogiorno dalla supremazia delle regioni dominanti. Maradona è stato il don Diego tramutato in Zorro, il profeta di una recovery sociale creduta impossibile, il boss in pantaloncini cui fosse permessa ogni licenza, il fatto nuovo insomma che ha introdotto un principio sconosciuto nella cattolica e pudica Italia, l’idea cioè che i meriti valgano più dei vizi e che i vantaggi guadagnati da una collettività superino le bassezze e le colpe del loro artefice, nella proporzione per cui quanto più proficui siano i primi tanto più scellerati possano essere i secondi. 
Maradona è stato assolto da ogni peccato in grazia dei meriti di cui si è reso degno nei campi di calcio, ricoprendosi di una gloria che ha sfidato i tempi e ogni ulteriore eccesso. Se fosse stato un soldato degno di ogni medaglia al valore per i suoi atti di eroismo, sarebbe stato condannato alla degradazione in presenza di una sola violazione di legge, ma il calcio è un mondo nel quale anche il più infame gladiatore può diventare un divo se eccelle nell’arena. E questo mondo ha perso ora un suo dio, protagonista di una breve stagione al fulmicotone e ancora oggi confrontato a Pelé e Messi nel gioco su chi spetti il titolo di più forte di sempre. 
Certo, lasciano senza fiato le sue azioni travolgenti, i suoi virtuosismi da giocoliere, i prodigi che sembrano non umani, talché non può esserci giocatore che non sogni di emularlo, ma il rischio è che ogni centrocampista in erba non riesca a scindere i due Maradona e supponga che per essere un campione debba anche trasgredire ed eccedere. Volere una vita spericolata può rendere immortali e consacrare nella gloria ma generalmente si muore giovani: come Achille, semideo che rimpiangeva agli Inferi di non essere nato contadino. Questo insegna la vita tutta in arsi di Maradona, esempio di calciatore eccelso ed esemplare di uomo censurabile, morto per troppi abusi, eppure nato per stregare il mondo.