mercoledì 27 gennaio 2021

Spazio al virus, come per l'acqua e il fuoco

 


Un efficace regime di profilassi contro epidemie che si diffondano per inalazione dovrebbe incoraggiare al massimo la vita all’aria aperta, mentre il lockdown che manteniamo ci costringe a stare al chiuso, in case che – grandi o piccole che siano – costituiscono la fonte principale di trasmissione del Covid. Non solo le case domestiche, ma anche uffici e scuole, ospedali e caserme, nonché ogni altro ambiente che non abbia per tetto il cielo, diventano oggi focolai ideali per il virus. Le misure di contenimento obbligano a non uscire di casa e limitano la presenza per strada ai soli casi di necessità, senonché per disperdere il virus appare opportuno, per quanto del virus si sappia, dargli aria, offrendogli campi di azione quanto più vasti possibile, per modo che il distanziamento andrebbe inteso non solo e non tanto come distacco sociale tra una persona e l’altra ma anche e soprattutto come ampliamento del perimetro entro il quale il virus possa spaziare. Il Covid non ha né molta forza propulsiva né resistenza e trova effetto solo nel raggio corto del contatto ravvicinato. Allungare il raggio significa dunque neutralizzare il virus. 
Un detto siciliano di antica saggezza dice: “Acqua e focu dacci locu”, che vuole indicare la necessità di dare spazio all’acqua e al fuoco perché non facciano danno se contenuti o circoscritti. Dando loro sfogo si disinnesca il pericolo che si creino bolle micidiali. Così per il Covid. Se è anch’esso un elemento naturale non può non rispondere agli stessi criteri di uno straripamento e di un incendio. Che si definiscono in una misura direttamente proporzionale propria delle leggi di natura, secondo cui maggiore è la concentrazione di elementi contaminanti (materiale igneo per un incendio, sbarramenti per l’acqua, persone per l’epidemia) e più gravi sono gli effetti che si determinano. 
Si ha già prova che il Covid colpisce meno non tanto dove le persone si distanziano di uno o due metri, rimanendo tuttavia nello stesso spazio omogeneo, ma dove ce ne sono di meno, nei piccoli paesi per esempio e ancora di più in campagna. Viene invece fatto obbligo di rimanere in casa il più possibile, gomito a gomito, alito con alito, magari in bivani di quaranta metri, e viene consentita la vicinanza solo a persone legate da vincoli parentali di convivenza legalizzata (coniugi sì, fidanzati no: e siamo al grottesco), quasi che il virus fosse un mostro che si aggiri per strada e stia in agguato per ghermire coppie clandestine o riconosca e risparmi quelle di più duraturo legame. 
La politica del lockdown prolungato ha dimostrato che il Covid colpisce non più nei locali pubblici ma nelle case private dove entra e raggiunge i parenti più anziani, anche rinserrati nelle stanze più recondite, grazie ai cavalli di troia rappresentati da figli e nipoti. 
Un modo per dare sfogo al Covid, offrendogli spazio, così da rendergli faticoso il salto da un soggetto all’altro, non è tanto distanziando le persone ma togliendole dal mirino, alternandole: come si è fatto in Italia al tempo dell’Austerity con la circolazione automobilista a targhe alternate. Per esempio, invece di restringere gli orari di apertura degli esercizi commerciali, dilazionarne anche di notte e nei festivi l’attività e nello stesso tempo consentire ai privati di usufruirne, rispettando un calendario ordinato secondo le iniziali del cognome o anche la targa della propria auto o perché no il numero del telefonino, produrrebbe un effetto disseminazione analogo a quello ottimale ma irrealizzabile di disperdere la gente nel territorio ben oltre i centri abitati e le città. 
Se il virus cammina con le nostre gambe, non serve fermarsi dentro cervellotiche zone colorate di rosso o di giallo, perché la permanenza in un luogo incrudelisce il Covid, ma occorre che ci disperdiamo noi o si disperda il virus. Non potendo farci eremiti e non volendo rinunciare al nostro modello di vita, sostituiamo allora l’assembramento con il contingentamento: fuori tutti, ma a turno, sempre e comunque all’aria aperta, nei dehors dei ristoranti e sulle terrazze dei bar, nei musei e nelle boutique alle tre di notte e a scuola anche la sera. Come diceva Renzo Arbore in “Quelli della notte”, meno siamo e meglio stiamo. Soprattutto in salute.